Nuova svolta per Libération, il quotidiano fondato da Jean-Paul Sartre e Serge July nel ’73, passato dall’estrema sinistra a posizioni social-democratiche, dopo aver attraversato un lungo periodo libertario. Altice Média, il gruppo di Patrick Drahi, imprenditore delle telecom (proprietario di Sfr), dal 2014 nel capitale di Libération, abbandona il controllo diretto del quotidiano e lo cede a una fondazione senza scopi di lucro. Il modello della Fondazione è quello di Médiapart, sito di giornalismo di inchieste su Internet, che aveva guardato al Guardian e al suo Scott Trust. Ma Médiapart, a differenza di Libération, è in attivo (anche se non ha pubblicità), e in crescita di abbonamenti.

QUESTO FONDO, scrive il gruppo Altice in una lettera ai dipendenti, «doterà sostanzialmente Libération» per permettere al giornale di far fronte alle perdite e al debito «fino a quando sarà necessario» e di ottenere «il finanziamento futuro e così garantire l’indipendenza a lungo termine» della testata. Libération è in perdita, 8,9 milioni nel 2018, malgrado una sovvenzione pubblica annuale di quasi 6 milioni di euro, mentre ha accumulato un debito intorno ai 45-50 milioni, la diffusione è intorno alle 70mila copie, con abbonamenti web in netto aumento negli ultimi due anni (moltiplicati per 6).

PER LAURENT JOFFRIN, il direttore che adesso entra nel consiglio di amministrazione del fondo assieme a due uomini di Altice (il direttore generale di Altice Média, Arthur Dreyfuss, e il direttore delle fusioni/acqusizioni del gruppo, Laurent Halimi), «moralmente, eticamente, giornalisticamente è un progresso». La vita di Libération è assicurata, almeno per un po’, e sulla carta il quotidiano non dipenderà più da un imprenditore, come era ormai dal 2005, quando in occasione di un’altra crisi era entrato nella proprietà Edmond de Rothschild. Ma la redazione è perplessa. Molti giornalisti sono stati sorpresi dalla notizia della cessione da parte di Altice e della creazione del fondo, che per statuto sarà aperto a finanziamenti di nuovi «mecenati», mentre eventuali utili dovranno venire versati «in opere caritative».

C’è preoccupazione tra i dipendenti di Libération, che dovranno traslocare in nuovi locali. «Se avesse voluto liberarsi del giornale, avrebbe potuto vendere, da due anni abbiamo offerte, Drahi mi ha sempre detto di avere un debole per Libération, abbandonarci non sarebbe buono per la sua immagine», spera Joffrin. La redazione ha chiesto «garanzie giuridiche, finanziarie e sociali, in particolare sulla dotazione e sull’occupazione» e vorrebbe venire associata alla gestione del fondo.

IL GRUPPO ALTICE si libera dell’ultima testata di carta stampata che ancora controllava, dopo aver venduto non molto tempo fa il settimanale L’Express, che con la nuova proprietà ha subito un ridimensionamento della redazione. «Seguiamo la stessa strada», temono a Libération. Altice, nei media, si concentra ormai sulla tv (Bfm, Rmc), ma questo settore sta per essere anch’esso riorganizzato e le redazioni temono che ci sia in programma una diminuzione dell’organico (la riorganizzazione in corso a Sfr – telecom – si concluderà con l’allontanamento di un terzo del personale).

Drahi è un uomo d’affari e ha studiato la manovra per la creazione del fondo di Libération senza perdere denaro. Drahi vende il giornale alla Fondazione, per un valore eguale alla dotazione che avrà questo fondo: in sostanza, otterrà importanti sgravi fiscali (una riduzione delle tasse del 60%), così potrà recuperare parte della somma dell’operazione.

LA CARTA STAMPATA sta attraversando in Francia un periodo difficile, aggravato dalla crisi del coronavirus. Venerdì sono state messe in liquidazione giudiziaria le filiali di provincia di Presstalis, il primo distributore francese di quotidiani e riviste. I quotidiani salvano la distribuzione a Parigi, ma 500 sui 910 dipendenti di Presstalis perderanno il lavoro. Ieri, la Cgt ha indetto uno sciopero. Ma il settore è in declino: nel ’95 c’erano ancora 700 depositi di giornali e riviste in Francia, oggi sono solo più 61. Le edicole sono preoccupate, sono rimaste in circa 22mila e il coronavirus sta dando il colpo di grazia a molte. Le vendite di quotidiani e riviste sono diminuite nel periodo di confinamento e molti lettori non torneranno in edicola perché sono passati al web.