Sorridente e con in braccio il suo bimbo, rimasto con lei in carcere per tre mesi. È apparsa così l’attivista bahranita Zaynab al Khawaja a coloro che, assieme alla famiglia, due giorni fa sono rimasti ad aspettarla per ore all’uscita della prigione. Davanti a tutti la sorella Mariam desiderosa di riabbracciare anche il nipotino, detenuto aggiunto nelle carceri del re sunnita del Bahrain, Hamad Isa bin Khalifa, alleato di ferro di Arabia saudita e Stati Uniti, avversario tra i più accessi dell’Iran e del movimento sciita libanese Hezbollah. Mariam ha fatto da “portavoce” a Zaynab, per «evitare altri guai» alla sorella nota per il coraggio e la lingua tagliente, condannata a tre anni e un mese di prigione per aver strappato in pubblico una foto di re Hamad. «Zaynab è stata liberata ma non ci facciamo illusioni. La condanna non è stata annullata e mia sorella potrebbe tornare in carcere in qualsiasi momento», ha avvertito Mariam al Khawaja. Ha giocato a favore di Zaynab il fatto di essere anche una cittadina danese. La monarchia dice di averla rilasciata per «motivi umanitari».

Un «gesto» di cui non ha goduto il padre di Zaynab e Mariam, Abdulhadi al Khawaya, uno dei principali attivisti dei diritti umani nell’area del Golfo, condannato all’ergastolo per «aver complottato per rovesciare» la monarchia sunnita. Accusa che al Khawaja ha sempre negato con tutte le sue forze. Come lui restano in prigione tutti i rappresentanti dell’opposizione bahranita che non sono solo sciiti. Tra di essi figura il leader del partito progressista Waad, Ibrahim Sharif, di famiglia sunnita. Sharif è stato uno dei protagonisti nel febbraio del 2011 della primavera di Manama che vide migliaia di bahraniti restare accampati in Piazza della Perla per settimane, in nome delle riforme politiche e dell’uguaglianza. Il mese successivo furono aggrediti dalle forze di sicurezza appoggiate da soldati dell’Arabia saudita e poliziotti degli Emirati entrati in Bahrain su richiesta di re Hamad. I morti furono decine, i feriti centinaia, gli arresti migliaia.

Tra il 2014 e il 2015 la monarchia aveva avviato una parvenza di “dialogo” con le opposizioni. L’intero processo si è rivelato una farsa. Questo esito ha portato non pochi giovani bahraniti a radicalizzarsi al punto da sfidare la leadership dell’opposizione, accusata di essere incapace di ottenere il cambiamento chiesto soprattutto dalla maggioranza sciita della popolazione, discriminata e tenuta ai margini dalla minoranza sunnita che controlla questo minuscolo arcipelago in mezzo al Golfo. Re Hamad in ogni caso ha sbattuto tutti in carcere, moderati e oltranzisti, con l’accusa di partecipare ad un complotto dell’Iran e di Hezbollah per rovesciare la monarchia e imporre una repubblica sciita in Bahrain. Dietro le sbarre è finito anche lo sceicco Ali Salman, leader del partito al Wefaq, principale forza dell’opposizione moderata, tollerato dal regime sino al 2014 e poi inserito nel lungo elenco dei «sovversivi».
Lunedì una corte d’appello ha raddoppiato gli anni di detenzione di Ali Salman, aumentando a 9 anni la pena originaria di 4 anni di carcere per «tentato golpe», «istigazione alla violenza e all’odio». Accuse prive di senso se si considera che il leader del Wefaq era stato arrestato nel dicembre del 2014 per aver partecipato a una manifestazione a favore del boicottaggio delle elezioni. L’avvocato della difesa, Jalila al Sayed, ha accusato la procura di aver manipolato le prove, in particolare alcuni filmati, allo scopo di presentare Salman come un «pericoloso rivoluzionario». È di ieri la notizia del rinvio a giudizio di altri 18 bahraniti. Tutti sono accusati di lavorare per conto di Hezbollah e dei Guardiani della Rivoluzione iraniana. Re Hamad ha interrotto le relazioni diplomatiche con l’Iran lo scorso gennaio dopo l’assalto all’ambasciata saudita a Tehran seguito alla decapitazione del leader sciita Nimr al Nimr ordinata dalla monarchia Saud.

La repressione in Bahrain è brutale. Eppure gli Stati Uniti, che nell’arcipelago mantengono la base della V Flotta, e l’Europa non vanno oltre qualche timida critica alla monarchia al Khalifa, storica alleata dell’Occidente e protetta dai sauditi. Qualche settimana fa in Gran Bretagna è stato riservato un posto d’onore a re Hamad, durante le celebrazioni per il 90esimo compleanno della regina Elisabetta. Il circo della F1 non apre bocca su ciò che accade in Bahrain e ogni anno, in primavera, conferma il GP di Sakhir, vetrina di un Paese moderno e tribale allo stesso tempo, che nelle sue carceri tiene rinchiusi, secondo fonti dell’opposizione, circa 4 mila prigionieri politici.