«Sono favorevole alla liberalizzazione della cannabis per uso curativo o personale». Parla da medico prima ancora che da responsabile della salute dei suoi concittadini (e a una platea di studiosi che non credono ai «buchi nel cervello»), il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ma è solo l’ultimo di una lunga serie di sindaci statunitensi, sudamericani, olandesi (in 35, solo qualche mese fa, hanno chiesto di legalizzare la coltivazione della marijuana), tedeschi o spagnoli che sostengono la fine del proibizionismo più oscurantista per combattere le narcomafie e sconfiggere il dilagare delle tossicodipendenze. Eppure, nel giorno in cui entra in vigore la nuova tabellazione delle sostanze stupefacenti, col ripristino della differenza tra droghe leggere e pesanti come era fino al 2006, prima della legge Fini-Giovanardi abrogata dalla Consulta – una differenziazione che contribuirà anche ad alleviare il sovraffollamento carcerario a causa del quale, come ha avvertito proprio ieri Strasburgo, l’Italia rischia dal 27 maggio prossimo una sanzione per ciascuno dei 6829 ricorsi già pronti sul tavolo della Corte europea dei diritti umani – le ragionevoli posizioni del primo cittadino romano suscitano un vespaio nel centrodestra. Che in realtà ronzava da tempo, e sul tema è pronto ad esplodere, come dimostra l’irrequieto senatore Ncd Carlo Giovanardi che ieri ha chiesto un assist alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin per ritornare al vecchio regime sanzionatorio e soprattutto per scongiurare il “pensionamento” dell’ex capo Dipartimento antidroga, Giovanni Serpelloni, sospeso già dal 9 aprile scorso.

È una posizione chiave, quella della presidenza del Dpa. E Serpelloni garantisce la continuità con le politiche proibizioniste tanto care alla destra, vecchia e nuova. Quelle politiche che secondo Ignazio Marino, intervenuto al Cnr in apertura dei lavori della conferenza annuale dell’International Society for the Study of Drug Policy, «non hanno portato nessun risultato nella prevenzione del drammatico aumento nell’uso di droga». «Nel 2011 più di un milione di piante sono state confiscate nel nostro Paese contro le 73mila in Francia», ha aggiunto, mentre «la criminalità organizzata ancora gestisce grandi porzioni del traffico internazionale e ci sono abbastanza ragioni per riaprire il dibattito oggi in Italia». Dopo aver fotografato il tempo attuale «in cui una riforma delle leggi sulle droghe è necessaria a livello nazionale e internazionale», il sindaco democratico ha esplicitato le sue convinzioni: «La depenalizzazione della marijuana deve essere considerata un punto di partenza» e «nuove forme di legalizzazione potrebbero essere sperimentate in medicina per la salute delle persone ma anche per colpire la criminalità organizzata».

Un punto di vista che però ha innervosito non solo l’ala destra del parlamento: «Una volta tanto che abbiamo raggiunto un punto di equilibrio, con la cannabis che non è più contenuta all’interno della tabella 1 delle sostanze stupefacenti, penso che ora dobbiamo fermarci a riflettere», sbotta la compagna di partito del sindaco, Emilia Grazia De Biasi, presidente della commissione Sanità del Senato che ha lavorato gomito a gomito con Giovanardi, relatore del provvedimento che classifica 500 sostanze entrate in commercio dal 2006 ad oggi pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale.

Ma l’autore della vecchia legge cassata dalla Corte costituzionale, insieme alla stessa ministra Lorenzin e all’ex capo antidroga Serpelloni, sono per un’altra linea: differenziare almeno la «marijuana di una volta» da quella «ogm», come la chiamano, ossia quella con «principio attivo arricchito», collocando quest’ultima nella stessa tabella della cocaina e dell’eroina in modo da parificare il regime sanzionatorio con le droghe pesanti e – cosa molto più importante – dirottare per legge un gran numero di consumatori abituali di cannabis sulla strada delle comunità (private) di recupero per tossicodipendenti.

Ecco perché è necessario che Serpelloni rimanga al suo posto. Perché anche se l’Unodc, l’agenzia Onu per la droga e il crimine, lancia l’allarme sull’«espansione senza precedenti» delle droghe sintetiche (348 nuove sostanze legali in 94 Paesi del mondo, 100 delle quali introdotte solo nell’ultimo anno), in particolare su quelle droghe psicoattive che imitano gli effetti della cannabis, passate da 60 nel 2012 a 110 nel 2013, l’unico problema da noi deve continuare a rimanere la marijuana. E non è una questione ideologica.