Nessuno studio hollywoodiano ha avuto il coraggio di seguire Steven Soderbergh nel mondo ipersfarzoso e nelle contraddizioni profonde di Wladziu Valentino Liberace, Walter per i famigliari (italopolacchi del Winsconsin), Lee per amici e amanti.

Nemmeno con Michael Douglas nel ruolo del fammeggiante, virtuosistico, pianista (educato alla musica classica, professava uno stile autobattezzato «pop con un tocco di classici», muovendosi tra il boogie woogie e l’adorato Chopin) e Matt Damon in quello del suo giovane autista/amante, Scott Thorson.

Così il regista di Traffic (sul cui set sarebbe nata l’idea di affidare il ruolo di Liberace a Michael Douglas, dopo un’imitazione pare riuscitissima) e il produttore di Ocean’s Eleven, Jerry Weintraub, si sono rivolti alla rete cavo Hbo, e il film più «lussuoso» di Soderbergh dai tempi degli Ocean, in Usa arriverà solo in televisione.

Magnificamente anacronistico nell’era della legalizzazione dei matrimoni gay e di un immaginario omosessuale meno outré di quello rappresentato da Liberace (che comunque fino alla morte si professò etero), Behind the Candelabra (il secondo americano finora in concorso a festival) è adattato dall’omonimo libro di Thorson e raccontato dal suo punto di vista.

Cresciuto sballottato tra orfanatrofi e adozioni temporanee, Thorson allevava cani da cinema in California quando, sedicenne, conobbe Liberace durante un week end a Las Vegas.

Nonostante sia in ottima forma, a quarantadue anni, Matt Damon non può passare per un teen ager ma l’aura di (quasi cocciuta) naiveté che dà al suo personaggio nel corso di tutto il film funziona, e sfuma un po’ agli occhi del pubblico la realtà di un sessantenne (Liberace era nato nel 1919, il film inizia nel 1977) che seduce un ragazzino.

Il suo Liberace «è» sopra le righe, ma non si comporta come tale. E su questo registro di equilibrio assoluto funziona il genio del film.

Lavorando di grande dettaglio sulla voce, i movimenti e l’istinto infallibile che Liberace aveva per il glamour del palcoscenico (persino Elvis sarebbe stato influenzato da lui), Douglas usa benissimo la sicura naturalezza datagli dal suo sangue blu hollywoodiano per interpretare un uomo per cui indossare parrucche, maxipellicce di ermellino, corsetti damascati rosso fragole e scarpette di broccato era cosa di tutti i giorni

La scintilla tra i due scoppia quando Scott si offre di aiutare a curare uno dei barboncini del pianista, che è diventato cieco. In breve, abbandona la casa dei genitori adottivi e si trasferisce a Vegas da Lee dove, formalmente assunto come autista/segretario/factotum…, rimpiazza prima il boyfriend precedente e, dopo un po’, anche l’inamovibile maggiordomo.

Nello stravagante palazzo/ranch di Liberace, pieno di ori e pianoforti mai usati, e accudito da un manipolo di helpers tra cui spicca l’ineffabile manager ebreo Seymour Heller (Dan Aykroyd), la vita tra i due (il rapporto durò 5 anni) è una buffa combinazione tra Rolls Royce e pop corn, orge di shopping miliardario e pomeriggi passati sul divano a guardare repliche delle apparizioni tv di Liberace, cucina fatta in casa e perizoma con gli strass.

Insieme al sesso, agli sfarzi, alla tenerezza e alle banalità del quotidiano, a un certo punto, Lee e Scott iniziano anche a condividere un chirurgo, il dottor Startz (Rob Lowe, incredibile), al cui bisturi Liberace affida il progressivo ringiovanimento del suo volto e, in un momento particolarmente crudele, anche quello di Scott, che vuole più magro e trasformato a sua immagine e somiglianza, da giovane. Vien da ridere solo a immaginarsi la faccia degli executive hollywoodiani quando arrivavano a questo punto della sceneggiatura di Behind the Candelabra…. 

Ma Soderbergh (come al solito dietro alla macchina da presa, che muove con grande discrezione rispetto agli ultimi film) e i suoi attori si fermano genialmente alla soglia del precipizio macabro/ grottesco. O forse ci si buttano dentro così radicalmente che non ce ne si accorge più. Difficile dire…. Almeno per un po’, evita il precipizio anche la love story suburban di Lee e Scott. Ma le storie finiscono, non importa se si hanno tutti i giocattoli del mondo. E Liberace, che aveva promesso addirittura di adottarlo, si stufa di Scott. Un giovane ballerino biondo ha catturato la sua attenzione: per l’ex trainer di cagnolini scatta l’eject.

Lui fa causa ma gli portano via tutto, meno i vestiti, una pelliccia e gli anelli (che però si era già venduto per pagare un’abitudine alla droga accumulate a forza di pillole dimagranti).

Il tempo passa. Impiegato in un ufficietto di spedizioni, Scott riceve un giorno una chiamata di Lee: è malato. Quando lo va a trovare sta morendo, di Aids (ma dirà che è stato un attacco cardiaco). «Però sei stato quello che mi ha reso più felice». «Anche tu» . Lee e Scott, una love story… dopo tutto.