«Voglio ripetere e riaffermare che sto molto bene e se Dio vuole sto per tornare nel mio caro Libano come promesso, vedrete». Il premier libanese Saad Hariri annuncia così, via Twitter, il ritorno in patria dopo la misteriosa sparizione a Riyad durata 12 giorni.

Hariri, che da un anno ha preso il posto del padre Rafiq – ucciso in un attentato nel 2005 di cui fu accusata la Siria degli Assad – ha la doppia cittadinanza, libanese e saudita. Ma il suo ultimo viaggio nella capitale del regno wahabita sicuramente non è stato di piacere.

Anzi, secondo l’interpretazione più accreditata sarebbe stato sequestrato dai sauditi. Convocato lo scorso 3 novembre da un gruppo di influenti personalità sunnite, tra cui il ministro degli Affari del Golfo Thamer al Sabhan, sotto la minaccia di una interruzione degli aiuti sauditi con l’intento di costringerlo a buttar fuori Hezbollah dal governo di unità nazionale.

Hariri si sarebbe rifiutato di entrare in conflitto con gli sciiti del Partito di Dio che con le loro milizie, dopo aver respinto l’invasione israeliana nel 2006, ora combattono in Siria a fianco di Assad e in Yemen accanto ai ribelli Houthi. Al suo rifiuto di destabilizzare la delicata alchimia di alleanze su cui poggia il Libano, sarebbe stato costretto alle dimissioni, arrivate infatti il 4 da Riyad ma subito congelate dal presidente Michel Aoun.

Il suo ritorno a Beirut è stato annunciato solo dopo l’arrivo a Riyad, martedì, del patriarca maronita Béchara Raï. E il contemporeaneo tour del ministro degli Esteri Gebran Bassil nelle capitali europee alla ricerca di sostegno per il suo immediato ritorno. Mentre Macron, reduce da un’infruttuosa missione a Riyad, ieri sera ha invitato Hariri e famiglia a trasferirsi a Parigi.