Adattamenti letterari come Ethan Frome e Les Miserables, personaggi storici come Michael Collins e Oscar Schindler, un film diretto da Jodie Foster (Nell) e uno da Woody Allen (Mariti e mogli), un Oscar (Schindler’s List) e successi a Broadway, come la produzione dell’Anna Christie di Eugene O ‘Neil (che interpretò al fianco della moglie Natasha Richardson). Anche se da ragazzo faceva pugilato e se gli inizi della sua carriera includono un film diretto da Clint Eastwood (Scommessa con la morte), fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile immaginare che Liam Neeson diventasse una star del cinema d’azione. Per di più dopo i 55 anni. Invece, il chilometrico attore irlandese oggi è una presenza richiestissima nel cinema di genere ad alto tasso di adrenalina. Da quello a grosso budget, come Guerre stellari o Il cavaliere oscuroIl ritorno, a thriller più economici e tesi, come quelli che fa con il regista spagnolo Jaume Collet-Serra (Unknown-Senza identità, Non-Stop e adesso Run All Night – Una notte per sopravvivere, da oggi nelle sale italiane, action ambientato in una New York notturna dove interpreta un killer professionista) o Taken, il titolo della svolta, adesso diventato una franchise.

«Liam aveva già fatto cose come Guerre stellari. Ma tutto è cambiato il giorno in cui, in Taken, ha preso in mano il telefono e ha annunciato ai rapitori di sua figlia che intendeva dar loro la caccia e ucciderli. Da quel momento, ha rivelato al pubblico una psicologia tutta nuova. Che piace moltissimo», ci dice Joel Silver, una colonna del cinema d’azione americano più spettacolare (Matrix, Arma letale, Die Hard…) che ha prodotto Non-Stop, in cui Neeson era una guardia della sicurezza aerea che deve sventare un attacco terroristico a bordo di un aereo diretto a Londra. «Gli spettatori fanno il tifo per i suoi personaggi perché Liam stesso crede nella loro realtà.

Non erige barriere tra sè e il pubblico Per questo piace così tanto», è d’accordo Collet-Serra, che con Neeson ha elaborato un modello contemporaneo di thriller hitchcockiano dalla sensibilità europea, efficace e dinamico. Come molti protagonisti dei film di Hitchcock, «I suoi personaggi sono uomini normali in circostanza straordinarie. Per quello il pubblico si identifica. Si chiede cosa farebbe se fosse in quella situazione», ci dice ancora il regista.
Gentilissimo nelle interviste, attento nella scelta delle parole, un’aria malinconica dietro agli occhi chiari, Neeson si è formato alla scuola di recitazione di Belfast e sui palcoscenici Dublino, con una dieta di classici teatrali.

È chiaramente un attore che potrebbe reggere un film solo sul suo volto. Ma, mentre la maggior parte dei suoi colleghi fa la gavetta nel cinema di genere sognando di passare alla «serie A» delle produzioni d’autore, Neeson sembra aver tratto dal percorso inverso un senso di liberazione che è quasi visibile fisicamente, sullo schermo. Quando glielo faccio notare, durante un incontro avvenuto l’anno scorso in coincidenza con l’uscita americana di Non Stop sorride: «È il tipo di cinema che ho sempre voluto fare, ma non ne avevo mai avuto l’occasione. Io ero l’attore di film «seri», come Schindler’s List. Quando Luc Besson mi ha mandato la sceneggiatura di Taken, mi sono sentito come un bambino in un negozio di giocattoli. Tutta quell’azione….e in più tre mesi a Parigi? Non potevo dire di no. Quello che non potevo immaginare è cosa sarebbe successo dopo. Un film così piccolo raramente si fa notare. Invece ha avuto un enorme successo e adesso a Hollywood mi si considera sotto una luce diversa».

Il che non significa che non sia attento nella scelta dei personaggi o alle loro psicologie. Attraverso Taken, The Grey, a Unknown, Non Stop e adesso Run All Night corre un filo rosso molto evidente: si tratta protagonisti «vissuti», che hanno sofferto e spesso subito una grossa perdita – come Neeson stesso, quando Natasha Richardson è morta improvvisamente, nel 2009, in seguito a una banale caduta sulla neve. Flawed, è la parola che usa l’attore per descrivere questi personaggi: significa che hanno dei difetti, delle debolezze. Quasi sempre sono uomini che hanno un passato interessante, e che si portano dentro una ferita profonda.

Nonostante l’età, Neeson preferisce evitare l’uso di controfigure, «i miei non sono eroi di arti marziali». E oggi preferisce lavorare con registi, come Collet-Serra, che amano le sceneggiature stringate, di poche parole. «In film di genere come quelli che facciamo insieme, ogni dettaglio – anche alzare un sopracciglio – deve comunicare qualcosa». «Siamo europei» , interviene il regista, «ci piace la sottigliezza. È più divertente e lascia spazio all’immaginazione» . Sempre europea, negli eroi addolorati di Neeson, sembra una certa mancanza d’ironia autoreferenziale, che li rende diversi da quelli d’oltreoceano interpretati per esempio da Bruce Willis o dagli expendables di Stallone. «Il pubblico ama il fatto che lui non abbia distacco ironico, che interpreti uomini che hanno problemi reali», conclude Silver.