Liam che è sempre uguale a se stesso e invece no; che gioca col “personaggio Liam” e lo trascende; che entra sul palco dinoccolandosi, si pianta dinanzi al microfono e resta lì così. Come da sempre, come con gli Oasis. Liam che ieri sera al Palazzo dello Sport (Palalottomatica) di Roma ha disvelato che è inutile agognare una reunion degli Oasis, tanto c’è lui, che in scaletta infila classici della band come “Rock’n’roll star”, con cui apre il concerto, e a seguire – citando a caso – “Columbia”, “Supersonic”, “Morning Glory”, “Live Forever”, “Stand by Me”, “Gas Panic!”, “Acquiesce”, “Roll with it”, “Champagne Supernova”, “Wonderwall”, “Cigarettes & alcohol”. E in mezzo – ma proprio in mezzo – anche i pezzi da solista (dagli album “As You Were” e “Why Me? Why Not.”): “Shockwave”, “The river”, “Wall of glass”, “For what it’s worth”, “Come back to me”, “Once”, “Halo” e “The River”. L’artista – che stasera suona al Mediolanum Forum di Assago – è arrivato in Italia accompagnato dalla solite turbolenze: la reunion mancata degli Oasis (per colpa di Noel? Per colpa sua? O per scelta tattica di entrambi?), la voce ballerina (giorni fa ad Amburgo ha lasciato il palco dopo quattro pezzi), le faide eterne tra fratelli. Alla fine, però, resta solo il palco, giudice supremo, punto di discrimine tra bene e male. E ieri sera Liam lo dominava circondato da una band fenomenale – gli Oasis se la sognavano così compatta e implacabile – che lo ha messo a suo agio, in grado di autorappresentarsi nella sua forma più vera e intima. Raramente Liam interloquisce – sempre stracarico di splendidi “fucking this” e “fucking that” – con il pubblico, raramente manda baci, raramente invita a “stay safe”, raramente asperge complimenti su chi sta sotto il palco, raramente si mette così in gioco e così tanto. Saranno i 48 anni, sarà che c’è anche il figlio Gene sul palco (ai bonghi), ma questo è un altro Liam, in cui lo sguardo cupo e velenoso del passato, l’automa rabbioso degli Oasis, lascia spazio a un artista “aperto”, minimale come il palco (semplice, elegante, sempre in penombra, sistemato con un rigore quasi Bauhaus), essenziale come le riprese dello show proiettate alle sue spalle, spinto dall’urgenza di disvelarsi al meglio, senza paracaduti (Noel alla voce e chitarra, ad esempio), consapevole che ogni inciampo può trasformarsi in un abisso. E sul palco si danna, avvolto nel solito parka (stavolta bianco). Cercando di direzionare al meglio – aiutato dalle tre coriste e da un pubblico estasiato – una voce che a volte non lo aiuta, che lo manda fuori tempo, che da sempre tende a sforzare troppo. Ma poco importa, quella voce è una splendida coltellata a una schiera di “bravi” cantanti da talent show, ai tanti fenomeni sanremesi, di oggi e di ieri, tanto impeccabili e “vocalmente educati” quanto vuoti. Gallagher no, lui arriva sul palco con tutte le sue impennate vocali sgraziate e lascia il segno per come incarna il senso del rock: immaginario e furore. E non a caso sul palco campeggia solo una scritta, “rock’n’roll”, e lui stesso apre il concerto assicurando che “questo è rock’n’roll”. E da lì si parte, è una lotta costante, come quel video iniziale proiettato alle sue spalle in cui – solo, solissimo – incede sulle macerie e tra le tensioni del mondo. Dimostrando che ormai Liam deve fare i conti solo con Liam, che stasera, come la sera prima e come nei suoi album, si gioca tutto; che questo è anche un concerto degli Oasis, che gli Oasis sono anche suoi, e poco importa che quella scaletta assomigli tanto a una sfida a Noel e alle sue riluttanze nei confronti di una reunion. L’unica cosa che conta è: “perché io? Perché no”.