Lo ha detto anche il Papa, in qualche modo, che una risata li seppellirà, ma non è umorismo yiddish il suo. Non lo è del tutto neanche quello dell’attesissima quarta stagione della Signora Maisel, partita il 18 febbraio su Amazon.

Siamo alle fine degli Anni Cinquanta, la deliziosa stand up comedian già casalinga interpretata da Rachel Brosnahan è certo radicata nel suo contesto di famiglia ebrea dell’Upper West Side, la storia prende sì le mosse da una disastrosa cena dello Yom Kippur, la suocera di Miriam è la caricatura perfetta della mamma yiddish, come pure suo marito, ricco imprenditore tessile. Ma se rispetto all’(American) yiddish humor siamo un po’ nella maniera, i pregi di Midge, vezzeggiativo della Maisel, non sono pochi e parecchio hanno a che fare con il femminile, l’alleanza femminile, ma soprattutto con l’urgenza di trovare e liberare la propria voce creatrice. La madre di famiglia scopre di far ridere più di suo marito, aspirante cabarettista, e passa dalla punta di petto, il suo piatto forte, alle tette in fuori, grido di battaglia prima di salire sul palco del Comedy Club.

La forza di Miriam è la scoperta del talento che salva, la sua arma la sorellanza con la manager Susie (Alexandrea Borstein), scalcagnata, trucida e maieutica. L’amore di sé a 360° è la più grande love story di Miriam dopo la separazione dal marito Joel, figura che non riesce mai a risultare sgradevole o negativa: non sono forse le corna (con la segretaria) una faccenda molto sopravvalutata specie di fronte al tradimento delle proprie vocazioni?

Lo diceva anche Santa Hildegarda, mille anni fa, senza menzionare espressamente le corna, che il peccato più grande è non esprimere i propri doni. E Mrs Maisel li esprime eccome, pur nella leziosità scenografica narrativa di un mondo perfetto alla Stepford Wives (La Fabbrica delle mogli), nella scrittura un po’ artefatta, dalla terza serie in poi, della comunque ottima Amy Sherman Palladino cui si deve la creazione anche di Gilmore girls (Una mamma per amica). Sherman Palladino che ha dedicato la sua casa di produzione alla progenitrice, di origine ebrea, di tutte le personalità di spirito capaci di scrivere e conciarsi come si deve: l’ha chiamata Dorothy Parker Drank Here Productions.

Il riscatto nell’esercizio di un talento tocca a ben vedere anche i comprimari di Miriam Maisel, a partire dal suo alter ego maschile, suo padre Abe Weissman (interpretato da Tony Shalhoub), cacciato dalla Columbia University che si reinventa critico teatrale; un giornalista in tweed che scrive nella vasca da bagno come Dalton Trumbo e nel finale della prima puntata della nuova stagione brinda all’arte, seduto per terra con sua figlia.

Mrs Maisel, lo dichiara apertamente a inizio stagione, vuole diventare il nuovo Lenny Bruce, un po’ come è accaduto al nostro Paolo Rossi; ma il competitor comico, americano e yiddish, di Miriam, sarebbe piuttosto Jerry Seinfeld ucraino per parte di padre e siriano per quella di madre, che per dieci anni ha interpretato se stesso nella sit-com ideata con Larry David che porta il suo nome e racconta la sua vita da stand up comedian con contorno di amici buffi. Un successo enorme basato su uno humor fresco e surreale, battute servite con un mezzo sorriso alla Woody Allen ma con meno nevrosi, show apripista a molto altro (anche a Scrubs e Bing Bang Theory ne sono in qualche modo debitori) cui Seinfeld ha saggiamente messo fine alle soglie del Duemila perché dopo due lustri e altissimi incassi andava anche bene così, e perché il politically correct non avrebbe più permesso negli States una certa comicità.

Lo stesso motivo per cui oggi non sarebbe accettato Friends, dove pure cultura e umorismo ebraico affiorano spesso (epico lo scontro tra Babbo Natale e Armadillo natalizio che Ross pretende essere il paladino di Hannukah ); i tempi e non solo le cotonature sono cambiate dagli Anni Novanta, e qualcosa ne sa Woody Allen che dopo mille traversie è riuscito ad approdare sul boicottante Amazon Prime con Crisis in six scenes divertissment scritto, si vede, con la mano sinistra, primo e ultimo esperimento per la tv del regista al netto degli spot per la Coop degli anni Novanta che erano persino meglio di questo film a pezzi come già il suo Harry (ma ad Allen, volendogli bene, si perdona tutto). La storia si ambienta negli Anni Sessanta, come Mrs Maisel, e nel cast ne compare la protagonista: Rachel Brosnahan, che di Miriam qui ha solo le gonne vaporose e i golfini stretti.

Tornando a Seinfeld, la sit-com ha lanciato oltre un certo modo di fare show, apparentemente svaporato e disimpegnato , mode lessicali e persino una festività (il Festivus, giorno dell’Anticonsumismo che cadrebbe il 23 dicembre), l’unico personaggio femminile dello show : Julia Lewis Dreyfus, grande attrice comica con ascendenze ebraiche, protagonista dal 2012 al 2019 di Veep- Vice Presidente Incompetente, storia di una cialtronissima immaginaria numero due alla Casa Bianca, satira perfetta su politica, istituzioni e comunicazione, ruolo che le è valso la vittoria dell’Emmy come migliore attrice protagonista sei volte di seguito.

Categoria di premio (una delle rare) dove Jerry Seinfeld non è mai arrivato primo; i 250 mila dollari in una sola stagione sono stata una probabilmente sempre un’ottima consolazione; il buon Jerry si è visto soffiare un premio da una collega anche alla scorsa edizione dei Grammy Award quando è stato battuto nella categoria Best Comedian Album dove era nominato per 23 Hours to kill, dall’attrice comica Tiffany Haddish che lo ha conquistato invece per lo speciale Netflix Black Mitzvah; si tratta di un racconto autobiografico in forma di stand up comedy incentrato sulla scoperta delle proprie origini ebraiche a 27 anni grazie all’incontro tardivo col padre, un ebreo eritreo. È su Netflix, Seinfeld invece è su Prime, con La Fantastica Signora Maisel, dove pure, un po’ alla volta, stanno sbarcando diverse cose di Woody Allen. Perché come diceva l’aschenazita Billy Wilder, alla fine quelli che fanno ridere verranno risparmiati (dunque se proprio bisogna dire la verità meglio farlo in modo divertente).