Oltre 200 osservatori internazionali sono in Honduras per le elezioni di domani. Si vota per eleggere il presidente che sostituirà quello in scadenza, Porfirio Lobo, i tre vicepresidenti, 128 deputati al Congresso, 20 al Parlamento centroamericano (Parlacen) con altrettanti supplenti, e 298 rappresentanti locali. Ai 5.437 seggi allestiti in tutto il paese, sono attesi 5,3 milioni di cittadini, compresi i 46.000 che vivono negli Stati uniti. Possono scegliere tra nove partiti e altrettanti candidati alla presidenza. I più quotati dai sondaggi risultano Juan Orlando Hernandez, del Partido Nacional (la destra che governa) e Xiomara Castro. Quest’ultima, che rappresenta il partito Libre (Libertad y Refundacion) è la moglie dell’ex presidente Manuel Zelaya, deposto con un colpo di stato il 28 giugno del 2009. Quattro dei nove partiti in campo sono stati fondati dopo il golpe: Libre, Anticorrupción, Frente Amplio Político Electoral en Resistencia (Faper) e Alianza Patriótica, quest’ultimo diretto da Romeo Vasquez, ex Capo di stato maggiore delle forze armate al momento del golpe.

Per la giornata elettorale verrà intensificata ulteriormente la già altissima presenza militare e poliziesca nelle strade. Il piccolo paese centroamericano (circa 8 milioni di abitanti) è in cima alle statistiche mondiali per numero di omicidi: 85,5 ogni 100.000 persone, secondo l’Onu. Molti assassinii riguardano attivisti per i diritti civili e giornalisti. L’ultimo in ordine di tempo è stato Manuel Murillo Varela, 32 anni, ucciso nella capitale Tegucigalpa con tre colpi di pistola. Era un militante di Libre, già vittima di sequestro e tortura da parte di poliziotti in borghese, il 2 febbraio del 2010. La Corte interamericana per i diritti umani, che ha effettuato diverse visite nel paese, gli aveva attribuito una protezione, ma non è bastato.

Un altro modello di stato

«Il capitalismo selvaggio non vuole che i popoli ottengano giustizia, pace ed equità», ha detto la candidata Xiomara Castro nel comizio di chiusura davanti a un mare di sostenitori. La candidata di opposizione, leggermente in testa nei sondaggi, ha promesso «una rivoluzione pacifica e democratica». Un cambiamento regolato da una nuova costituzione, che dovrà essere il risultato di un ampio processo costituente. Libre, nato ufficialmente il 15 marzo del 2011, punta a rompere il bipartitismo imperante dei due partiti tradizionali, il Partido Nacional e il Partido Liberal. Propone un altro modello di stato, basato «sulla trasformazione della società e del sistema economico e politico, sulla costruzione di una vera democrazia partecipata e inclusiva, frutto di uguaglianza, libertà, solidarietà e giustizia, garanzia del rispetto universale dei diritti umani».

L’equipe di presidenza di Xiomara Castro è composta da Juan Barahona, dirigente del Fronte nazionale di resistenza popolare (Fnrp), dal politico Enrique Reina e dall’imprenditrice Juliette Handal. Una rappresentanza dell’arco di forze che compone il partito, frutto di un’articolata ricomposizione politica iniziata dopo il golpe. Un variegato embrione di resistenza popolare si era messo in moto già all’indomani dell’espulsione di Zelaya dal paese ad opera dei militari. Poi, ne aveva appoggiato i vari tentativi di rientro, sostenuto dall’attività diplomatica del Brasile, del Venezuela e del Nicaragua. Dopo il ritorno dell’ex presidente in Honduras, le forze del cambiamento hanno intensificato l’attività politica, arrivando a fondare Libre e a eleggere Xiomara Castro come rappresentante. L’annuncio di una costituente, unito all’adesione di Zelaya al campo dei paesi socialisti latinoamericani, aveva messo in moto i piani destabilizzanti e innescato la crisi politica, già nel novembre del 2008. Poi, il colpo di stato e l’azzeramento delle timide riforme sociali avviate da Zelaya. A rimetterci, sono stati i lavoratori delle maquilas – le fabbriche ad alto sfruttamento che prosperano in centroamerica -; i contadini dell’Aguan, uccisi dalle squadracce dei proprietari terrieri, e gli oppositori, perseguiti, ammazzati o fatti scomparire.

Dopo un lustro di crescita annuale del 5,6%, nel 2009 l’Honduras è entrato in recessione, come la più parte dei paesi del Centroamerica, per riflesso della crisi finanziaria del 2008. Dal 2010 al 2013, l’economia ha però ripreso a crescere di un 3,6% annuale: sempre a vantaggio, tuttavia, delle élite che reggono, per conto terzi (Stati uniti e grandi imprese transnazionali) l’ex repubblica delle banane. Un paese formalmente democratico dai primi anni ’80, ma sempre sotto la tutela dei militari e delle grandi imprese straniere, che hanno in concessione circa la metà del territorio, controllano e sfruttano tutte le risorse (minerarie, idroelettriche, agricole, commerciali e industriali).

Garifuna a rischio

Da ultimo, dopo un’opportuna modifica costituzionale, il governo Lobo è arrivato a concedere pezzi di territorio ai capitali nordamericani per costruire città private fuori controllo, che comportano ulteriori devastazioni ambientali e sociali. La prima, sulla costa caraibica, disboscata e cementificata per circa 1.000 km quadrati, mette a rischio la sopravvivenza della popolazione indigena Garifuna. Con il pretesto della lotta al narcotraffico che domina parte del territorio e permea tutti i livelli delle istituzioni, si alimenta il business delle imprese private del controllo e l’apparato poliziesco-militare. L’Honduras è sempre il cortile di casa degli Stati uniti, che solcano gli spazi marittimi come fossero i propri con navi da guerra, e usano il territorio nazionale per le proprie basi militari come quella di Palmerola.

E così, l’indice di povertà e quello di povertà estrema sono arrivati rispettivamente al 13,2% e al 26,3%. È povero circa il 70% della popolazione. Tra il 2006 e il 2009, durante la gestione del pur moderato Zelaya, gli indici erano rispettivamente al 7,7% e al 20,9%. Il coefficiente di Gini, che misura le disuguaglianze e fino al 2009 era allo 0,50, alla fine del 2011 ha registrato un aumento del 12,3%, il più alto della regione.

Una situazione destinata ad aggravarsi se passa il piano di governo di Orlando Hernandez che ha promesso una maggior militarizzazione del territorio, e la creazione di «120.000 nuovi posti di lavoro con le maquilas».

Sul modello del Frente Amplio uruguayano, Libre propone invece un patto sociale «contro un modello di paese che favorisce un piccolo gruppo ed esclude il popolo». Durante il suo comizio conclusivo, Xiomara Castro ha proiettato un messaggio video dell’ex presidente brasiliano Lula da Silva, che ne inviò uno analogo a Nicolas Maduro in Venezuela e un altro alla candidata presidente in Cile, Michelle Bachelet, domenica 17. Lula, che dette asilo a Zelaya nell’ambasciata del Brasile a Tegucigalpa ha detto che Libre – affiliata al Foro di San Paolo – rappresenta «un gran momento di rinnovamento e speranza per l’Honduras». Anche altri presidenti socialisti latinoamericani come l’ecuadoriano Rafael Correa, hanno inviato messaggi a Xiomara.

Per questo, la destra ha scatenato un putiferio. Il Tribunal Supremo Electoral (Tse), che presiede le operazioni di voto, ha invitato gli osservatori «a non interferire nelle elezioni». E intanto ha stabilito che alcuni membri del Foro di San Paolo come la ex Nobel per la pace guatemalteca Rigoberta Menchu potranno assistere solo come accompagnatori.

In compenso, nessuna protesta istituzionale per l’arrivo nella capitale di un noto mercenario venezuelano, Robert Carmona Borjas. In fuga dal suo paese dov’è accusato di aver attentato alla vita del defunto presidente Hugo Chávez, Carmona è ritenuto l’ispiratore del golpe contro Zelaya. [FIRMA_SOLA]