L’hipster – il look e il lifestyle di una specie urbana attualmente in declino – esprime un’esemplare autoreferenzialità metropolitana giovanile, bianca e middle class, che si è sviluppata nell’ultimo ventennio: la prima vera post-subcultura a nascere da ceneri politicamente antagoniste che negli anni Ottanta erano ancora fumanti. La vicenda della sua genesi è abbastanza nota. Come la stragrande maggioranza della cultura popolare del XX secolo, l’hipster è originariamente una creatura afroamericana che negli anni Quaranta ascolta bebop, fuma marjuana e decostruisce la moda maschile dell’epoca.

Da allora, cooptato dalla working class bianca e attraverso innumerevoli mutazioni che trovavano nella musica la propria precipua ragion d’essere, è gradualmente riemerso nel mainstream della contemporanea inciviltà dei consumi. Per ragioni solo apparentemente extrapolitiche, oggi il termine è poco più che un insulto: il suo bersaglio è una figura antimacho, assorbita anima e corpo dalla ricerca di una distinzione – nel senso inteso da Pierre Bourdieu – da raggiungere esclusivamente attraverso una meticolosa raffinazione delle proprie abitudini materiali e culturali.

L’hipsteria ha segnato l’avvento della curatela nell’essere sociale: le barbe, gli impomatati baffi a manubrio vittoriani, i tatuaggi, i mocassini senza calze, sono alcuni degli aspetti ormai caricaturali che lo caratterizzano dacché si è compiuta la loro appropriazione dai mercati della moda, della cosmesi e della nutrizione.

Quelli che oggi sono segni perfettamente preconfezionati – sempre gli stessi, scelti dallo scaffale dei quartieri bohémien delle metropoli occidentali – un tempo furono oggetto dell’appassionata ricerca del cosiddetto proto-hipster, l’autentico archeologo dell’estetica moderna. Un borghese altamente scolarizzato, digitalizzato e terziarizzato, orfano nostalgico della dimensione artigianale della manifattura, costretto a cercare un’innocenza perduta per sempre nella radicalità politica e sociale senza compromessi del design moderno, proprio mentre Ikea lo tramutava in cifra dominante