A pochi mesi dall’ingresso di Nso – la compagnia israeliana che produce lo spyware Pegasus – nella lista nera del dipartimento del Commercio degli Stati uniti per la sua agevolazione della «repressione transnazionale» di attivisti, avvocati e giornalisti, l’Fbi conferma al Guardian di essere in possesso di Pegasus, per il quale avrebbe pagato sinora circa 9 milioni di dollari a Nso.

L’agenzia giustifica l’acquisto della potente cyber-weapon con «la necessità di stare al passo con tutte le tecnologie emergenti», «non solo per esplorarne gli usi legali ma per combattere il crimine e proteggere sia i cittadini americani che la nostra libertà», e sostiene che Pegasus è solo stato studiato e analizzato – «non c’è stato alcun uso operativo a supporto di indagini».

Ciononostante, salta agli occhi l’ipocrisia di sanzionare la compagnia israeliana attraverso un ramo del governo mentre un’agenzia governativa ha versato alla stessa 5 milioni di dollari per comprare la medesima tecnologia che mette all’indice (l’acquisto è avvenuto nel 2019 sotto l’amministrazione Trump, ma il controllo di Pegasus si ottiene attraverso una sottoscrizione da rinnovare, per cui il Guardian riporta che a Nso è stato versato perlomeno un altro pagamento di 4 milioni di dollari).

Inoltre, scrive il New York Times, all’Fbi sarebbe stata venduta una versione ad hoc di Pegasus: Phantom, in grado di accedere ai telefoni statunitensi – lo spyware originale infatti è disegnato per non poter attaccare i numeri americani. E nella sua causa contro la compagnia israeliana intentata nel 2019 per aver infettato almeno 1400 device dei propri utenti, Whatsapp sostiene che almeno 100 erano americani. Un anno prima, aggiunge il Nyt, un’altra agenzia Usa – la Cia – aveva sovvenzionato il governo del Gibuti per acquistare Pegasus in modo da poter aiutare «l’alleato americano» a combattere il terrorismo.