L’aria del tempo è densa di Watergate. Le vicissitudini legali della presidenza Trump e la sua vocazione tirannica, hanno riportato in auge il curvaceo, vetrato palazzo di Washington che diede il nome allo scandalo responsabile della fine della presidenza Nixon. Ogni giorno sui tg si anticipa la possibilità di un nuovo «Saturday Night Massacre» (la notte in cui Nixon decise di licenziare il procuratore speciale che lo indagava) e Carl Bernstein è tornato in auge come commentatore pagato di CNN. Tutto questo andrebbe a favore di The Silent Man, un film sull’artefice della resa nixoniana, conosciuto per più di trent’anni solo come Gola profonda.

Diretto dal regista investigativo Peter Landsman, purtroppo il film è poco più di una piatta lezione di storia – senza il muscolo cinematografico che gli avrebbero portato Pollack o Pakula o il corto circuito con il presente che Spielberg ha inserito nella texture di The Post (The Silent Man era in lavorazione prima dell’elezione di Trump). Liam Neeson è Mark Felt, agente con lunga carriera nell’FBI, supporter di Hoover e custode dei suoi dossier segreti, la cui lealtà nei confronti del Bureau si incrina, dopo un mancato avanzamento di carriera, di fronte alla prospettiva di un cover up.