Ahmed (Sami Outbali) e Farah (Zbeida Belhajmor) si incontrano nel corso alla Sorbonne di letteratura araba comparata. La ragazza è arrivata da Tunisi a Parigi per studiare, lui invece è nato e cresciuto in Francia e non parla neppure l’arabo. Dalla prima volta che la vede, senza forse neppure essere notato, la desidera: ma come trovare una parola per dare voce a quegli stati d’animo sconosciuti a quel ragazzo solitario, figlio di immigrati algerini che hanno tagliato ogni legame con proprie origini? E che dell’amore e del desiderio ha un’idea contrastata tra corpo e purezza, e con gli amici non riesce a condividere le confidenze, alcune sfacciate, altre dentro alla tradizione. Una storia d’amore e di desiderio è il nuovo film di Leyla Bouzid, che dopo il bell’esordio con Appena apro gli occhi (2015) in cui racconta la rivoluzione tunisina attraverso una figura di ragazza, stavolta gira in Francia, a Parigi, perché come dice al telefono «vivere tra due culture è una condizione comune, che non riguarda soltanto me» E aggiunge: «Avevo molti timori l’altro film era andato molto bene in Tunisia specie tra i giovani e non volevo che pensassero che li avevo abbandonati. Però è molto importante confrontarsi con più realtà».

«Una storia d’amore e di desiderio» è il racconto di formazione di un ragazzo, Ahmed, che prende forma attraverso i testi di letteratura araba del XII secolo. Come hai lavorato su questo?

All’inizio l’unico riferimento letterario era la storia di Layla e Majnun, un classico della letteratura medievale araba in cui si canta l’amore impossibile tra due giovani che appariva nel prologo e nell’epilogo del film. Andando avanti con la scrittura ho capito che questa collocazione del testo non funzionava col resto. Ho provato così a intrecciare alla relazione tra i due ragazzi i testi di cui si parla nelle loro lezioni che danno voce alle molteplici sfumature dell’amore e dell’erotismo. Il loro rapporto le attraversa ma è il punto di vista di Ahmed che guida la narrazione: ogni passaggio riflette i cambiamenti che avvengono in lui, la sua ricerca di sé. Una volta che la sceneggiatura ha preso questa direzione la vera difficoltà è stata come filmare la letteratura, in che modo tradurre la presenza delle parole nelle immagini. Nel mio film precedente, Appena apro gli occhi, ho usato molto la macchina a mano, qui con il direttore della fotografia (Sébastien Goepfert, ndr) abbiamo cercato una composizione diversa per dare risalto alla sensualità che scorre tra i due protagonisti e nella parola letteraria. La scommessa per me era quella di erotizzare il corpo maschile, e mentre scrivevo il film abbiamo molto discusso di come oggi le donne possono proporre uno sguardo sugli uomini. Anche la prima esperienza sessuale di un ragazzo è poco raccontata al cinema, di solito si parla delle ragazze e invece è un momento importante per tutti al di là del genere. Per Ahmed lo è ancora di più perché lo porta a unire in un solo gesto l’amore e il desiderio, mentre fino a lì ne ha un’immagine separata, non sa parlare del corpo della donna che nei discorsi con gli amici viene vista o come sesso o come la madre dei figli.

Una scena dal film «Una storia d’amore e di desiderio»

La scelta di questi testi si contrappone anche a un’idea dominante che riduce il pensiero arabo al waabismo cancellando a Oriente come a Occidente secoli di cultura avanzata e raffinata.

C’è una visione molto univoca della cultura araba sia in occidente che nel mondo arabo, ciò che riguarda la sensualità è stato rimosso. Il sentimento amoroso è molto presente nella tradizione letteraria araba, io ho scoperto la letteratura erotica molto tardi e mi ha conquistato per la ricchezza di scrittura e di stili. Un libro come Le Jardin parfumé: Manuel d’érotologie arabe di Cheikh Nefzaoui che viene citato nel film non è conosciuto per niente in Tunisia, del resto lo dice pure Farah: «Viene dalla Tunisia e io non ne ho mai sentito parlare!». Il punto di partenza è stato dunque rivelare un mondo di sensualità a un ragazzo cresciuto nella banlieue francese che grazie alla conoscenza di questi testi scopre l’amore e la sensualità in sé stesso, e anche che la cultura araba è molto diversa da quanto ha sentito dire fino allora sia nella banlieue che nella società francese. Ciò gli provoca molte domande riguardo alle sue origini, al rapporto coi genitori, alla mancanza di trasmissione di una memoria famigliare – Ahmed è cresciuto in Francia ed è completamente tagliato fuori dalla sua cultura di origine, non parla neppure l’arabo – tutte questioni che dovrà affrontare.

A proposito, anche il personaggio di Ahmed si allontana decisamente dallo stereotipo del ragazzo maghrebino nelle periferie francesi.

Volevo provare a riempire un vuoto un po’ generale nel racconto del maschile con la figura di un ragazzo timido – perché la timidezza maschile esiste nella vita. Al tempo stesso Ahmed risponde appunto anche alle mancanze che caratterizzano la rappresentazione di un ragazzo di origine maghrebina in Francia che vive nella banlieue. L’immagine è quasi sempre quella di una brutalità dei luoghi e delle persone. Ahmed invece ama leggere, riflette su di sé, mi sono ispirata alle persone che conosco che sono appunto molto diverse dallo stereotipo anche se i codici del luogo sono presenti e contano. Ho voluto mettere una diversità nella diversità francese senza pensare al personaggio in modo identitario, legandolo cioè all’origine, al genere o all’ambiente in cui vive. Oggi in certi contesti i personaggi non hanno alcuna molteplicità, ci si interessa molto poco della dimensione intima di chi vive nella banlieue, tutto viene riportato unicamente al conflitto.