Il “bersaglio grosso” è l’ex villaggio olimpico di via Giordano Bruno, in Italia conosciuto come Moi.

Un primo colpo è arrivato a metà luglio, fortemente voluto dal ministro Salvini, piombato a Torino per chiedere alla sindaca Chiara Appendino lo sgombero di mille e duecento migranti che vivevano nella quattro palazzine olimpiche da cinque anni. L’accordo tra i due ha portato oltre trecento persone ad abbandonare gli alloggi, senza violenza o forzature, accettando contratti abitativi e percorsi professionali per tempi variabili. La palazzina sgomberata, prevalentemente abitata da eritrei e somali, è stata murata con grossi blocchi di cemento e oggi è deserta.

Ma dopo pochi giorni molti di coloro che avevano accettato il progetto di Comune, Compagnia di San Paolo e Diocesi, sono tornati e si son risistemati negli spazi disponibili delle restanti tre palazzine. Anche i sotterranei, sgomberati a febbraio con estrema difficoltà, sono nuovamente occupati e vissuti dai migranti.
Il fenomeno del “ritorno”, nonché del primo arrivo da tutta Italia, si è acuito negli ultimi due mesi. I volontari italiani che sostengono l’occupazione riferiscono che l’afflusso sia dovuto ai crescenti dinieghi che le Questure oppongono alle richieste di protezione internazionale.

Oggi nell’ex villaggio Olimpico, che appena dodici anni fa ospitò gli atleti delle Olimpiadi di Torino 2006, vivono circa novecento esseri umani. Le condizioni di vita sono dure ma assicurano un rifugio, sopratutto nell’incipiente periodo invernale, mentre le tensioni sociali nel quartiere non sono esasperate, se non in virtù delle provocazioni di piccoli gruppi fascisti.

Circa quattrocento abitanti delle palazzine al momento sono impegnati nella raccolta della frutta nel saluzzese, poco di distante da Cuneo, e torneranno a novembre dopo la stagione del kiwi.

Le famiglie presenti sono circa trenta: erano cinquanta prima dello “sgombero soft” di agosto. Sono presenti trenta tra bambini e ragazzi. La proprietà dell’ex villaggio olimpico è del fondo immobiliare Prelios.

A ottanta chilometri di distanza rischia lo sgombero l’ultimo approdo prima della frontiera francese: la piccola chiesetta di Claviere, il cui sotterraneo è stato occupato lo scorso inverno per dare un riparo a chi tentava, e tenterà, di passare il confine in condizioni climatiche estreme. L’anziano parroco dopo molti mesi ha denunciato l’occupazione abusiva, esponendo così il sottoscala – semi invisibile ai più – alla circolare Salvini. Domenica prossima si terrà una parata verso il confine, in partenza dalla chiesetta-rifugio.

Le occupazioni abitative a Torino coinvolgono circa seicento persone, distribuite su quattro macro punti, prettamente palazzi ed ex scuole. I quartieri coinvolti sono quattro, storicamente operai: san Paolo, barriera di Milano, Aurora e Porta palazzo.

A organizzare le occupazioni, in anni ormai remoti, furono i centri sociali di Torino, Askatasuna e Gabrio, da cui gemmarono lo “Sportello predocasa” e il “Neruda”, realtà abitative che oggi coinvolgono centinaia di gruppi famigliari.

I centri sociali a loro volta sono un obbiettivo del ministro leghista, e dei locali politici di collegamento – nonché di qualche esponente del Pd – che da anni chiedono a gran voce lo sgombero di Askatasuna, Gabrio, El Paso e Asilo.

Fino al 2016 Torino è stata la capitale degli sfratti (e probabilmente lo sarà anche per il 2017): il ritmo degli ultimi anni è stato pari a oltre tremila all’anno.

Ultima ma non meno importante rimane l’occupazione artistica e abitativa della Cavallerizza Reale, gioiello barocco nel cuore di Torino, riconosciuto dall’Unesco Patrimonio dell’umanità, salvata tre anni fa da una speculazione immobiliare.