Poteva ricomparire come un Cincinnato accademico, Giuseppe Conte: tornare al suo lavoro in università in attesa di tempi più proficui. Poteva restare alla sua materia, il diritto privato, lasciando fuori dalla porta dell’ateneo gli ultimi due anni. Invece sceglie di vestire i panni dello statista che torna in cattedra e restituisce alcune delle esperienze accumulate nel corso dei governi che ha presieduto. Soprattutto il secondo, quello segnato dal Covid-19, visto che il titolo della lectio magistralis trasmessa in streaming dall’aula magna dell’Università di Firenze è: «Tutela della salute e salvaguardia dell’economia. Lezioni dalla pandemia».

L’EX PRESIDENTE in attesa di mettersi alla testa del Movimento 5 Stelle ovviamente non ha utilizzato il pulpito per entrare nel merito delle faccende immediate. Ma il suo discorso trasuda politica, entra nel merito di questioni decisive e in alcuni casi compie scelte di campo che peseranno. A partire dalla collocazione del M5S «europeista, liberale e moderato» di cui ha parlato Luigi Di Maio nei giorni scorsi.

SCORRENDO GLI AUTORI cui si riferisce in meno di due ore di digressione, qualche liberale compare. C’è ad esempio il pensatore austriaco Karl Popper. C’è Guido Calabresi, giurista italiano naturalizzato statunitense considerato uno dei fondatori dell’analisi economica del diritto, oltre che giudice federale nominato da Clinton. E poi ci sono il filosofo dell’ermeneutica Hans Georg Gadamer e Leonardo Sciascia col suo «a futura memoria, se la memoria ha un futuro». Conte prende le mosse dalla questione più delicata in tema di garanzie giuridiche: l’eccezione allo stato di diritto causato dalla pandemia. Sottolinea che la Costituzione italiana, a differenza di molte leggi fondamentali di altri paesi, non disciplina lo stato di emergenza. Da qui analizza il rapporto tra osservazione scientifica e decisione politica. Parla in prima persona plurale, contro la regola dello studioso che descrive asetticamente una situazione: «Il principio di precauzione è stato da noi assunto come strumento politico di gestione del rischio, basato su evidenze scientifiche, adeguato a tutelare la salute dei cittadini».

DA QUI, dalla dialettica tra sovranità politica e autorità scientifica, affronta il tema del diffondersi di «pulsioni anti-scientifiche». «La disillusione – osserva – rischia di generare una forte diffidenza nei confronti degli esperti. Ma il dubbio nella ricerca scientifica è un segnale di maturità». Pur rivendicando il metodo scientifico sottolinea la necessità che l’ultima parola stia alla politica: «Considero un bene che anche nello spazio pubblico si sia levato un più intenso dialogo tra politica e scienza – scandisce – Ma la politica non demandare alla scienza la risposta ultima alle complesse sfide che deve affrontare». Per questo, dice Conte, «abbiamo costruito un’articolata strategia normativa che tenesse conto delle caratteristiche dell’emergenza pandemica, non riconducibile a un evento che si esaurisce una volta per tutte come un terremoto o un’alluvione ma è un processo in continua, imprevedibile evoluzione».

L’ALTRO CORNO della questione della sovranità al tempo della pandemia è il rapporto tra stati nazione ed Europa. L’assunto è che «uno stato nazionale, ove ripiegato su se stesso, non può essere in grado di rispondere alle sfide più complesse». Dunque, «l’europeismo è il modo migliore per contrastare i ripiegamenti identitari: altrimenti, quando il vento cambierà e torneranno a spirare i venti nazionalisti, sarà molto complicato riuscire a contrastarli». Anche se, precisa Conte, l’Europa per troppo tempo è rimasta ostaggio di una «prospettiva univocamente orientata all’attuazione di indirizzi liberisti» che hanno provocato «effetti devastanti sul piano sociale».