Sale a tre il numero di processi a carico dell’ex presidente Morsi. Ma alle accuse di incitamento alla violenza sui manifestanti e corruzione ora si aggiunge un’imputazione più grave: spionaggio e cospirazione con organizzazioni terroristiche straniere.

Secondo i giudici, Morsi avrebbe dato vita a un’alleanza con i movimenti palestinese Hamas e sciita libanese Hezbollah. Le stesse accuse sono state estese ad altri 35 esponenti della Fratellanza (tra cui l’ex guida suprema Mohamed Badie, il leader carismatico Khairat al Shater, l’ex presidente del parlamento Saad Katatny, l’ex capo di Libertà e giustizia, Mohamed Beltagy, ed Essam al Erian).

La prima novità è che la nuova accusa prevede anche la pena di morte. Alcune organizzazioni per i diritti umani hanno espresso poi la preoccupazione che l’attuale repressione dei movimenti islamisti in Egitto non permetterà un processo giusto. I sostenitori di Morsi parlano invece di giustizia politicizzata: sono ancora centinaia gli islamisti detenuti nelle carceri egiziane dopo la repressione dell’estate scorsa.

Le motivazioni della nuova incriminazione, fornite dai giudici, fanno riferimento a rivelazioni di segreti di stato ad organizzazioni straniere che sponsorizzano il terrorismo e sostengono esercitazioni militari che incidono sulla stabilità e l’indipendenza egiziana. In particolare, nelle accuse si fa riferimento al contrabbando di armi attraverso i tunnel tra Sinai e Striscia di Gaza. In realtà, Morsi aveva disposto la chiusura della frontiere con Gaza in seguito all’attentato che aveva provocato la morte di 16 soldati nell’estate del 2011.

In più, uno dei responsabili della politica estera della Fratellanza, Essam Haddad è stato accusato di aver fornito segreti di stato ai pasdaran iraniani. Nell’anno di presidenza Morsi per la prima volta dopo tre decenni gli islamisti avevano tentato un riavvicinamento tra Cairo e Tehran, rimesso in discussione completamente nell’attuale fase di transizione. Nelle incriminazioni avanzate ieri si fa riferimento anche alle centinaia di attacchi nel Sinai che hanno visto implicata la Fratellanza. Secondo i giudici, gli attacchi «terroristici alle stazioni di polizia avevano lo scopo di permettere il ritorno di Morsi».

Il prossimo 8 gennaio riprenderà il processo in cui Morsi è accusato di aver incitato alla violenza i suoi sostenitori negli scontri di Ittihadya del dicembre 2012. Mentre lunedì si apre il secondo dei processi in cui Morsi è accusato di corruzione, in riferimento alle riforme sociali ed economiche promosse dalla Fratellanza nell’anno in cui ha detenuto il potere. Non solo, il ministro dell’Interno Mohammed Ibrahim ha negato il permesso ai familiari di Morsi di rendergli visita in carcere dopo le accuse mosse dall’ex presidente sulle responsabilità dei militari nel colpo di stato del 3 luglio scorso.

Intanto, si accende il clima in vista del referendum costituzionale. Il capo dei Servizi di Informazione (Sis), Amgad Abdel Ghaffar si è dimesso per accuse di negligenza, in seguito al poster errato, apparso per le strade egiziane, che invitava al voto il prossimo 14 gennaio. Infine, uno dei 50 esponenti del Comitato per la riforma costituzionale ha denunciato il cambiamento di alcuni termini rispetto al testo definitivo. Il politico Mohamed Abul-Ghar, leader del partito Social-democratico egiziano, ha assicurato che il termine «stato civile» (non religioso né militare) sia stato modificato in «governo civile» in fretta e furia.

Infine, l’ultimo di una serie di ordigni rudimentali è scoppiato ieri nel quartiere di Nassr City, non lontano dal luogo dove si è svolto per oltre 40 giorni il sit-in islamista di Rabaa al Adaweya.