«Sono molto grato e riconoscente a Berlusconi. Lui mi ha dato tanto e io, nel mio piccolo, gli ho dato tutto. Ho tante volte litigato con mio padre, spesso aveva ragione lui, a volte avevo ragione io, ma il rapporto d’amore continua». Povero figlio. Angelino Alfano sa che consumato lo strappo per lui e per i suoi può finire malissimo. L’unica speranza è restare attaccati in tutti i modi e il più a lungo possibile alla precaria zattera del governo Letta. Ma questo è il momento di farsi vedere giovane, in salute e più ottimista di re Silvio. E allora niente recriminazioni, nessun retroscena sulle ultime drammatiche ore. Angelino prova a guardare avanti anche perché indietro non si può più tornare. «E’ stata una scelta dolorosa e amarissima ma l’abbiamo fatta per amore dell’Italia».
Lo schema è questo. Il suo nuovo partito ha «due piedi ben piantati nel centro destra» ma vuole rappresentare il futuro «senza paura e senza nostalgia» per battere «la sinistra che è sempre la stessa e abusa della spesa pubblica». In realtà il suo Nuovo Centrodestra tenta disperatamente di tenere i piedi in due scarpe entrambe piuttosto malandate: sostiene Letta e, almeno per il momento, non rinnega Berlusconi – voterà contro la decadenza – ma solo i falchi «votati alla sconfitta e estremi nelle reazioni». E allora anche il piano d’azione si divide in due tempi: da qui all’anno prossimo dentro l’esecutivo per fare «lo scudo a un governo che altrimenti sarebbe di sinistra sinistra», a difesa dell’abolizione dell’Imu, della riduzione delle tasse e della spesa, del controllo delle frontiere e per non fare gli «eurotappetini». Poi, come se nulla fosse successo, Alfano crede di poter rimettere in piedi un Popolo delle Libertà che riunirà più partiti, Forza Italia compresa, ma che si affiderà alle primarie per decidere il leader. Intanto il «Nuovo centrodestra» si iscriverà al Ppe e si presenterà alle prossime elezioni europee. Una scelta coraggiosa perché è nelle urne che si consumerà lo scontro finale con gli ex amici del Pdl. Alfano non rinuncia neppure alle riforme che dovevano essere il primo compito del governo delle larghe intese. I numeri non ci sono più ma lui parla ancora di legge elettorale e di presidenzialismo. Sembra la brutta copia del Berlusconi d’altri tempi. Scimmiotta la lezione del maestro. Usa gli stessi termini, cerca di sfoderare il suo sorriso migliore, parla persino di «patto con gli italiani», vanta già grandi successi in 24 ore, promette e promette. Ma non convince nessuno. E’ su su lui e su personaggi come Formigoni e Cicchitto che si fondano le speranze del governo delle piccole intese. In una gara a chi ha più paura: Letta in bilico davanti all’avvento di Renzi, Berlusconi all’eterno tramonto e i suoi figli degeneri terrorizzati dalla vendetta funesta del vecchio padre.