Nel giorno in cui il presidente russo, Vladimir Putin, ha siglato a Pechino un nuovo accordo miliardario per la fornitura di energia alla Cina, Gazprom ha fatto sapere che l’ex cancelliere tedesco Gerard Schroeder occuperà una poltrona nel suo Consiglio di amministrazione.

Proprio a Gazprom è assegnata la parte principale del mega accordo cinese, che si basa sulle riserve di gas dei giacimenti yakuti “Chayanda” e “Kovykta”.

La candidatura ha già superato l’esame degli organismi di controllo. Dopotutto Schroeder ha diretto negli anni passati il consorzio che ha costruito il primo braccio del gasdotto Nord Stream e ha presieduto il colosso petrolifero Rosneft. Ora lo hanno designato per sostituire alla sala comandi di Gazprom un certo Timur Kulibayev, che sin qui ha rappresentava la società kazaca Kazenergy.

Questo passaggio merita particolare attenzione, perché Kulibayev non è un anonimo funzionario della burocrazia post sovietica. E’ uno degli uomini più ricchi e più potenti del Kazakhstan, e la fama dipende, sì, dal lungo periodo trascorso alla guida del fondo sovrano Samruk-Kazyna, in cui confluiscono i proventi dell’industria petrolifera nazionale, ma soprattutto dalle nozze, nel 1990, con Dinara Nazarbayeva, la figlia dell’ex presidente Nursultan Nazarbayev.

Il clan, com’è noto, è uscito pesantemente ridimensionato dalla rivolta esplosa il mese scorso ad Astana. Kulibayev non lascerà, tuttavia, Gazprom. Tutt’altro. Secondo il quotidiano Kommersant è destinato a restare nel board: non più nella quota kazaka, bensì in quella del governo russo.

Insomma, nel board della società, in cima a interessi miliardari fra l’Europa e l’estremo oriente, si vedono i segnali della politica estera che Putin intende seguire nei prossimi anni, segnali che dipendono anche dalle tensioni con gli Stati Uniti dovute ai colloqui sulla sicurezza in Europa.

“La Russia sta esercitando pressioni militari sull’Ucraina e utilizza le forniture di gas come leva su di noi, ecco perché il gasdotto Nord Stream 2 non può essere escluso dall’elenco delle sanzioni”, ha detto ieri da Bruxelles il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

“Loro hanno un’economia unidimensionale e incentrata principalmente sull’esportazione di combustibili fossili. Sappiamo che per loro è fondamentale avere accesso a beni e capitali, e quindi è nel loro interesse scendere a patti”. Anche Von der Leyen, quindi, concepisce lo scambio bilaterale come uno strumento di pressione reciproca.

Proprio ieri il commissario all’Energia, Kadri Simson, ha incontrato a Baku il presidente azero, Ilham Aliyev, e ha discusso al suo tavolo le condizioni di un possibile aumento delle forniture attraverso il cosiddetto “corridoio meridionale”, che attraversa anche l’Italia.

Sono i proventi di gas e petrolio ad avere permesso negli ultimi vent’anni l’incredibile sviluppo militare dell’Azerbaijan con cui Aliyev ha chiuso con successo la guerra lampo del 2020 in Nagorno Karabakh. Simson, assieme all’Alto rappresentante per la Politica estera europea, Josef Borrell, volerà poi a Washington la settimana prossima per il primo Consiglio energetico Stati Uniti-Unione europea convocato dal 2018.

Negli stesi giorni nella capitale americana è prevista anche la visita del cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Le agende dei due incontri sono incrociate. Di fronte al capo della Casa Bianca, Joe Biden, Scholz cercherà di difendere Nord Stream 2, al quale sono legate le prospettive di ripresa dell’industria tedesca.

Per Biden Nord Stream 2 “andrà fermato, in un modo o nell’altro”, nel caso di un attacco russo all’Ucraina. Ma la richiesta di stop ai lavori è partita negli Stati Uniti ben prima della crisi attuale, quando il cancelliere era ancora Angela Merkel.

Sulle ultime rivelazioni dell’intelligence americana, secondo cui il Cremlino avrebbe pianificato “un pretesto” per colpire l’Ucraina, è intervenuto ieri il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. “La natura delirante di queste invenzioni, il cui numero aumenta ogni giorno, è evidente a chiunque”, ha detto Lavrov.

Anche il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che si è proposto come mediatore, ha avuto parole poco diplomatiche verso i suoi stessi alleati: “Purtroppo, l’occidente non ha dato alcun contributo per risolvere questo problema”.