La federcalcio ciadiana sta tentando di recuperare qualcosina, a livello di immagine, seppur con scarsissimi risultati. Si sta provando a percorrere la strada dei social con un profilo ufficiale facebook (profilo, come quello delle persone fisiche, e non pagina) in cui appaiono temi propagandistici di scarso significato.

In questi giorni, ad esempio, a N’Djamena ci si sta strappando i capelli per l’attaccante Marius Mouandilmadji, 20 anni, astro nascente del calcio non solo ciadiano ma dell’intero continente africano, appena approdato in un top club europeo come il Porto.

Peccato che i lusitani l’abbiano acquistato dai neocampioni del Camerun del Cotonsport, società in cui Marius era migrato lo scorso gennaio – giocoforza, per la stagnazione del calcio in Ciad – dopo esser cresciuto nel Gazelle Football Club di N’Djamena.

La federcalcio ciadiana si compiace, inoltre, per il rinnovo di contratto col Monaco del mediano classe 1996 Kévin N’Doram, figlio di Japhet N’Doram, il più grande giocatore della storia del Ciad, che conta 102 gol in 192 presenze con la maglia del Nantes.

Il figlio Kévin, tuttavia, nato e cresciuto in riva alla Loira, è francese in tutto e per tutto, non ha mai fatto parte di una selezione dei Sao e nulla porta a pensare che abbia intenzione di sposare la causa calcistica della terra dei suoi genitori.

foto Japhet N’Doram, il più grande giocatore della storia del Ciad
Japhet N’Doram, il più grande giocatore della storia del Ciad

Eppure quattro anni fa il Ciad del calcio, proprio grazie a un francese lungimirante, Emmanuel Trégoat, sembrava aver intrapreso la strada maestra, cogliendo il suo primo storico successo: la vittoria della Coppa Cemac, ovvero la manifestazione calcistica che si svolge tra le nazioni che fanno parte della Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale, utilizzando giocatori tesserati nei campionati africani. In questa coppa si affrontano Gabon, Rep. del Congo, Ciad, Repubblica Centrafricana, Guinea Equatoriale e Camerun, che disputa la competizione con una formazione amatoriale. Nell’edizione 2014, i Sao s’imposero 3-2 in finale contro il Congo.

Trégoat ricorda al manifesto la sua esperienza da commissario tecnico: «All’inizio nessuno credeva in quell’impresa. In un paese come il Ciad regna in ogni ambito un sentimento di profonda rassegnazione.

Ma, grazie al sentimento di unità e di comprensione instaurato con ogni singolo giocatore, superammo ogni insidia e gli ostacoli di una squadra molto meno preparata rispetto agli altri. E cogliemmo la prima vittoria calcistica della storia: fu un’esplosione generale di gioia lungo le strade, che ho ancora davanti agli occhi».

Prima e dopo quell’esperienza, tuttavia, qualcosa non funzionò: «Uno scout francese di calcio africano mi mise in contatto con la federcalcio ciadiana, che mi fece firmare un contratto, assicurandomi le migliori attenzioni – prosegue Trégoat -. In realtà, quando arrivai a N’Djamena, nel febbraio 2014, trovai una situazione disperata: nessuna lista né video dei giocatori convocabili, un centro sportivo privo di spogliatoi e campi da calcio, non trovai nemmeno le divise e il vestiario per i ragazzi».

L’incredibile vittoria di qualche mese dopo nella Coppa Cemac, ebbe un effetto boomerang contro Trégoat, che cominciò a essere visto come un personaggio scomodo: «Mi rimossero dall’incarico senza ragione – ricorda l’ex ct, che della sua esperienza in Ciad ha pure scritto un libro, Victoire et turbolences -. La federcalcio mi deve ancora 3mila 200 euro che, a questo punto, mi sa che non vedrò più. A quel punto, si è proceduto verso il caos».

I giocatori della nazionale, amavano Trégoat, lo avrebbero seguito in capo al mondo. Si ritrovarono, invece, a ottobre 2015, sotto la guida del camerunense Rigobert Song, ex difensore di Salernitana e Liverpool, peraltro attuale ct dei Leoni indomabili: «Mi fa star male ripensare a quei rapporti che si erano creati: avevamo intrapreso una strada che fungeva da esempio per tutti. Un sogno, una speranza per un popolo, come quello Sao, che di speranze non ne può avere».

Fino a quella rinuncia alla trasferta in Tanzania, nel marzo 2016: «L’attaccante Labbo ha ragione: non è vero che mancavano i soldi per la trasferta. Successe, invece, che i dirigenti della federcalcio dilapidarono tutti i contributi inviati dalla Fifa, utilizzandoli per scopi personali. Le spese per le trasferte sono sempre state pagate dal ministero dello Sport che, a un certo punto, decise, anche comprensibilmente, di chiudere i rubinetti».

Ora il Ciad è senza calcio da due anni e mezzo: «E l’ultima fiammella della speranza si è spenta – chiosa Trégoat – È rimasta solo la fame, una partita che, a queste latitudini, è quasi impossibile vincere».