Centoquarantasei giorni fa un incendio gigantesco distruggeva il tmb di via Salaria. Le immagini della colonna di fumo arrivavano anche sui media internazionali, ed erano il simbolo plastico di un disastro cittadino. Con le fiamme ancora accese, si riunivano i vertici di regione, comune, Ama e ministero: dichiaravano la morte di un impianto che per otto anni aveva devastato le zone circostanti, e da cui per tutto dicembre è fuoriuscita una quantità enorme di diossina. Quel coordinamento – quella cabina di regia, come è stata chiamata – si sarebbe dovuta riunire di nuovo a breve per decidere le procedure amministrative che avrebbero portato alla dismissione dell’impianto.

NON È ACCADUTO e questo è evidentemente uno schiaffo, l’ennesimo, ai cittadini del terzo municipio. La cruda realtà dell’impianto oggi è questa: dopo quattro mesi e mezzo ci sono ancora 5mila tonnellate di Fos (la frazione organica stabilizzata), ossia un capannone gigantesco di immondizia umida che dovrebbe diventare terriccio inerte, ma che non si sa se potrà essere mandata in discarica oppure dovrà essere trattata da rifiuto speciale.

Su questo occorrono informazioni chiare e decisioni politiche. Che gli abitanti di Villa Spada, Nuovo Salario, Fidene, eccetera, dopo aver subito per otto anni la violenza sociale del tmb, debbano aspettare per quasi cinque mesi lo svuotamento di un impianto dopo un incendio che li ha fatti respirare diossina per settimane, è indegno.

Ma la cosa più grave è che è ancora attiva l’autorizzazione (Aia, in gergo tecnico) per lavorare e stoccare rifiuti dentro l’area del tmb. Un’autorizzazione che non doveva essere concessa nel 2011: l’impianto è a ridosso delle case. Un’autorizzazione che doveva essere cancellata per otto anni di gravissimi disagi per la popolazione e per il malfunzionamento (che una relazione dell’Arpa di novembre scorso aveva documentato). Un’autorizzazione che doveva essere revocata immediatamente dopo un incendio di quelle proporzioni. Anche su questo ogni promessa, ogni impegno senza un atto amministrativo è una presa in giro.

IN QUESTO TEMPO sono state inviate più volte delle richieste formali alla sindaca Raggi, alle commissioni regionali, comunali e parlamentari, per arrivare a una stesura degli atti.

La sindaca ha dichiarato diverse volte in occasioni pubbliche che a via Salaria andrà un grande centro direzionale di Ama invece del tmb. Quindi le risposte che devono arrivare a breve sono alle domande: quando verrà inaugurato? Chi lo costruisce? Come sarà fatto?

La mattina del 18 aprile scorso si è riunita in seduta speciale la commissione ambiente della camera dopo un sopralluogo. È stata la prima volta dall’11 dicembre che quell’impianto era aperto a dei rappresentanti politici, che finora – abbiamo visto – l’hanno evitato come la peste, e a (pochissimi) cittadini che hanno potuto vedere in che condizioni sia – ed era.

I giornalisti finora non hanno mai avuto accesso all’interno del tmb anche da prima dell’incendio, nonostante quel sito sia di fatto un luogo pubblico – l’Ama è al cento per cento una partecipata del comune, deve poter fare accedere i giornalisti all’interno. La richiesta che è stata fatta alla commissione era la stessa anche da prima dell’incendio: che siedano allo stesso tavolo i decisori di comune, Ama e regione e concordino una politica di breve termine, una di medio termine e una di lungo termine sui rifiuti, invece di rispondersi in sedi separate sul da farsi.

NELLA FATTISPECIE: che scrivano un atto amministrativo per decretare la dismissione del tmb. Alessandro Benvenuto (Lega), Rossella Muroni (Mdp) e Paolo Trancassini (Fdi) della commissione si sono presi la responsabilità di riuscire a far sì di convocare un incontro che revochi l’Aia prima dell’estate. Lo stesso Stefano Vignaroli della commissione ecomafie si era preso lo stesso impegno.

Non si può continuare a fare campagna elettorale sui rifiuti a Roma, perché questo vuol dire farlo sulla pelle delle persone. I leghisti addirittura evocano la riapertura dei termovalorizzatori, come se la vicenda di Colleferro non fosse stata già un dramma. Questo è il risultato di aver pensato che – in un contesto in cui è impegnativo prendersi responsabilità politiche – i tecnici potessero fare da supplenti. In questo momento – senza un assessore comunale all’ambiente da due mesi e mezzo, senza un consiglio di amministratore dell’Ama, con due bilanci di Ama da approvare – i decisori pubblici de facto possono essere un amministratore delegato pro tempore dell’Ama, Massimo Bagatti, che un giorno lamenta i ricatti di Manlio Cerroni (possessore di due impianti di trattamento fondamentali alla sopravvivenza della città) e l’altro cerca di tranquillizzare invano sul fatto che Roma non sia in emergenza; o una dirigente tecnica della regione, Flaminia Tosini, la quale viene dovrebbe avere il semplice compito di ratificare la cancellazione dell’autorizzazione del tmb o di firmare sulle aree dove dislocare gli impianti, ma che in un contesto così critico diventa un attore fondamentale.

C’è un evidente bisogno di politica. Gli atti, le responsabilità; persino la magistratura deve fare il suo compito. Se per anni a Roma c’è stata una pessima gestione in tutti i sensi del ciclo dei rifiuti, se il peso della criminalità è stato così consistente in Ama, se capitano a distanza di pochi mesi due incendi nei due impianti di Ama (Salario a dicembre, Rocca Cencia a marzo), forse nemmeno non bastano le indagini.