Non è il «solito» scontro tra un’arcigna Commissione europea guardiana del rigore e un paese che scalcia per strappare qualche margine in più. Nel botta e risposta che prosegue da giorni tra Roma e Bruxelles c’è anche questo, così come c’è, da parte del premier italiano, la scelta di calcare i toni per scippare all’M5S la palma del più grintoso nel fronteggiare l’Europa e per titillare il nazionalismo endemico dell’elettorato di destra. Però quando alla fine della mattinata il presidente della Commissione Juncker fa uscire qualche precisazione informale, nella quale le classiche «fonti» spiegano che il presidente ha «perso la pazienza» perché, in mancanza di un «interlocutore» si creano «troppi malintesi» sui temi più nevralgici, si capisce che in pentola bolle qualcosa di più indigesto.
Le «fonti» chiariscono che il riferimento polemico non è a carico dell’ambasciatore italiano Stefano Sannino che anzi è «il migliore a Bruxelles», ma alla mancanza di un dialogo, se non diretto almeno attraverso gli sherpa, tra Bruxelles e Roma. Vuol dire che Renzi, invece di cercare di dipanare le matasse con la dovuta discrezione trattando con Juncker, ha la pessima (per Bruxelles) abitudine di andare giù piatto, prendendo di mira la Commissione. La replica arriva dal ministro degli Esteri Gentiloni, confermata subito dopo dalle classiche «fonti», stavolta di palazzo Chigi: «L’Italia ha un governo nel pieno dei suoi poteri e abbiamo un continuo dialogo con le istituzioni».

Ma la «spiegazione» dei vertici di Bruxelles vuol dire anche che qualcosa non funziona nei rapporti tra il governo di Roma e la commissaria italiana Federica Mogherini. In parte dovrebbe essere lei a mantenere i rapporti, ed è difficile non leggere la frase fatta filtrare da Jucker anche come una protesta perché, invece, tra la commissaria e il governo del suo paese ci sono poca comunicazione e poca sintonia.

In effetti la reazione di Lady Pesc all’offensiva anti-Renzi di Juncker era stata più che flebile, un commento sulla stupidità di dividere l’Europa in un momento come questo che poteva essere tranquillamente interpretata come ulteriore critica rivolta a Matteo Renzi più che a Jean-Claude Juncker. Ieri mattina, poi, Simona Bonafè, intervistata su Radio24 non la mandava a dire: «Le sue posizioni mi ricordano il detto ‘fatta la festa, gabbato lo santo’. Molti suoi colleghi che dovrebbero rappresentare l’Europa quanto lei non perdono occasione per difendere gli interessi nazionali».

Bonafè, si sa, non è la più astuta tra i rottamatori. Quelle parole probabilmente Renzi non le avrebbe mai usate, e in effetti lei stessa, in serata, deve lanciarsi in una goffa correzione: «Tenuto conto del delicato lavoro di Lady Pesc mi dispiace che le mie parole siano state strumentalizzate dall’opposizione». Non che ci fosse molto da «strumentalizzare», per la verità…

In mezzo c’erano state raffiche irridenti dell’opposizione, a partire dal governatore ligure Toti, ex eurodeputato che aveva aperto le danze twittando «Finita la love story tra Mogherini e Pd». Soprattutto, in mezzo c’era stato l’intervento della diretta interessata: «Lavoro per tutta la Ue ma la mia storia e la mia nazionalità non cambiano. I canali con il governo italiano sono aperti e gli scambi costanti». Comunque «gli interessi della Ue e dell’Italia coincidono». Specialmente su flessibilità e immigrazione: «Abbiamo gli stessi obiettivi».

Però, toni fuori luogo a parte, Renzi condivide nella sostanza la stoccata di Bonafè. In questo momento non è di una vicepresidente della Commissione neutrale o pontiera che ha bisogno. Deve continuare a usare toni fragorosi sia perché gli servono come il pane in vista delle elezioni, sia perché sente che il momento di tentare l’affondo è questo, con l’Europa messa in ginocchio dai propri clamorosi limiti e prima che si abbatta sul mondo e sull’Europa una possibile nuova crisi epocale, stavolta col prezzo del petrolio in picchiata a svolgere lo stesso ruolo che spettò nel 2008 ai sub-prime, come ha profetizzato ieri un fosco Nouriel Roubini, lo stesso che aveva anticipato nel dettaglio la Grande Recessione.

Ma neppure Juncker può fermarsi. La differenza,rispetto ad altre crisi tra la Commissione e questo o quello Stato europeo, è che stavolta nell’occhio del ciclone c’è proprio lui, il presidente vistosamente inadeguato di una Commissione altrettanto al di sotto dei propri compiti storici. Quel che imbestialisce il lussemburghese è che la scelta di Renzi di attaccare continuamente e pubblicamente lo lavora ai fianchi proprio mentre le critiche nei confronti della Ue partono non solo dai paesi deboli o da quelli più in crisi, ma dalla stessa Germania. In mezzo, Lady Pesc sembra proprio il proverbiale vaso di coccio.