Voto favorevole dell’Europarlamento al Ceta, il controverso trattato di libero scambio fra il Canada e la Comunità economica europea. Il trattato è stato approvato in seduta plenaria nella sede di Strasburgo con 408 voti favorevoli, 254 contrari e 33 astenuti. L’accordo per la creazione di un mercato unico fra Canada e Unione europea entrerà in vigore in modalità provvisoria a partire dal 1 aprile di quest’anno, in attesa che i 28 parlamenti nazionali (38 se contiamo i parlamenti regionali) approvino il testo nelle rispettive sedi legislative. Un passaggio obbligato per la ratifica definitiva del Ceta che potrebbe ancora offrire qualche colpo di scena, sia per l’opposizione di alcuni parlamenti regionali che non hanno ancora sciolto la propria riserva (prima fra tutte la regione Vallonia, nel sud del Belgio), sia per l’imminente rinnovo dei parlamenti nazionali di Francia, Germania e Olanda, in un clima di possibile ascesa dei partiti populisti e nazionalisti, contrari al trattato.

L’accordo fra Canada e Unione europea crea un mercato unico grazie all’abbattimento del 99% delle tariffe doganali e attraverso l’adozione di una legislazione uniforme nel campo produttivo, delle costruzioni, dei servizi finanziari, delle telecomunicazioni e gran parte del settore agricolo. Fanno eccezione i servizi pubblici e il settore audiovisivo. Un accordo che avrebbe dovuto fare da apripista al Ttip, il trattato per un mercato unico fra Stati uniti e Ue, affossato dalla presidenza Trump.

«Un’eccellente notizia» per il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. «Adottando il Ceta, noi abbiamo scelto l’apertura, la crescita piuttosto che il protezionismo e la stagnazione» ha dichiarato il lettone Artis Pabriks, eurodeputato del partito Popolare europeo e relatore del testo, alla conclusione di una seduta non priva di tensioni. Il voto positivo al Ceta, senza grandi sorprese, è stata l’espressione di una larga maggioranza composta dai cristiano-democratici, dai liberali e da una parte dei socialisti, divisi al proprio interno fra favorevoli e contrari. Marie Arena, eurodeputata socialista belga, ha motivato il voto contrario dei socialisti dissidenti al Ceta poiché critici «sulle modalità con cui si è giunti a questo tipo di accordo», invitando la sinistra alla ricerca di una terza via, alternativa all’ultra-liberismo e al nazionalismo dell’estrema destra. Il voto ha diviso anche il Partito democratico: 13 eurodeputati, tra cui il capogruppo S&D Gianni Pittella e la capodelegazione Patrizia Toia hanno votato a favore, come deciso ieri sera dal gruppo (oltre a Renato Soru autosospeso dal S&D, ma ancora nel Pd), mentre in 9 hanno scelto diversamente.

Hanno votato no anche gli ex Pd Sergio Cofferati ed Elly Schlein, insieme a grillini, Lega Nord e Altra Europa per Tsipras. Conservatori e riformisti, Ncd e Forza Italia si sono invece espressi a favore. Per quanto riguarda l’Italia.

 

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A Strasburgo il voto contrario è arrivato dai Verdi, dalla sinistra radicale e dall’estrema destra anti-europea, Marine Le Pen in testa.

«La grande coalizione difende le multinazionali, noi restiamo in coalizione con le cittadine e i cittadini» è la reazione di Eleonora Forenza del gruppo Gue/Ngl-L’Altra europa, con riferimento ai manifestanti che si sono dati appuntamento all’entrata dell’Europarlamento sin dalle prime ore dell’alba.

Un sit-in di protesta, a cui hanno partecipato un migliaio di persone rispondendo alla chiamata di associazioni, sigle sindacali del settore agricolo in difesa dei piccoli produttori e di organizzazioni non governative, come Greenpaece e Friends of Earth.

Il nodo più controverso dell’accordo resta il meccanismo d’arbitraggio (Isds) chiamato a esprimersi nelle controversie fra Stati e multinazionali. Le modifiche apportate in seguito alla dura opposizione della regione Vallonia, regione a sud del Belgio, che ne avevano ritardato la firma di qualche giorno nell’ottobre scorso non rappresentano ancora delle garanzie sufficienti. Paul Magnette, presidente della regione Vallonia, ha ricordato che su questo punto le sue riserve non sono ancora sciolte. La corte di Giustizia europea sarà ora chiamata a esprimersi in materia, anche se tempi e modi sono ancora tutti da definire.