L’obsoleto stato-nazione, «segreto ben custodito dai politici nazionali» da «smascherare». Il «dramma» di una generazione che vive al di sotto degli standard della precedente. Il bivio fra «accelerare l’integrazione» o «la deriva verso l’irrilevanza». Sono alcuni passaggi dell’appello che l’ecologista Daniel Cohn-Bendit e il giovane imprenditore Felix Marquardt hanno lanciato ai giovani, alla vigilia delle elezioni del prossimo maggio. Cohn-Bendit sarà domani a Milano, ospite della formazione ecologista Green Italia (alle 11 alla regione Lombardia, la sera dibattito con la presidente dei verdi europei Monica Frassoni e con il filosofo Giulio Giorello). «Dico ai giovani che il loro futuro è legato al futuro dell’Europa. E che non c’è altra strada per rispondere alla crisi finanziaria, economica ed ecologica: l’Europa. Che i giovani debbono trasformare», spiega Cohn-Bendit, ecologista storico, sulla scena da cinquant’anni, protagonista del maggio francese, da vent’anni nell’europarlamento. Personaggio controverso, per le sinistre. Come quando – per dire della polemica più recente – si schierò a favore dell’intervento militare in Siria.

Presidente, lei fa appello ai giovani. Ma lo spettro di maggio è la vittoria degli antieuropeisti. Di destra, innanzitutto.

È così. In molti, non solo di destra, dicono che l’Europa non è la soluzione ma il problema. Ed è giusto, intendiamoci, dire che le politiche europee sono un problema. Ma la soluzione non è tornare agli stati nazionali, che non possono regolare la globalizzazione, e non possono fermare, per esempio, i cambiamenti climatici. L’Europa è la più forte possibilità di riconquistare democrazie nazionali che non esistono più. I mercati sono più forti di qualsiasi stato.

Ma a questa Europa è poco o niente credibile…

La mancanza di credibilità dell’Europa non è più grave della mancanza di credibilità degli stati nazionali. Teniamolo a mente.

Dicevo che a questa Europa poco credibile le sinistre radicali, dalla Grecia all’Italia, oppongono la disobbedienza ai trattati.

Non funziona. Rischia di mettere un paese contro l’altro. Il problema è cambiare le regole. E lo dico subito: sinistra non basta. Dobbiamo trovare le parole perché la Grecia, colpita duramente dalla crisi, vada avanti insieme alla Germania. Dobbiamo spiegare ai greci perché abbiamo bisogno della solidarietà dei tedeschi. Oggi i tedeschi pensano per lo più che l’Italia non vuole cambiare, e gli italiani che la Germania voglia dominare. Così non andiamo da nessuna parte. Non saranno le soluzioni neostataliste della sinistra, moderata o radicale, ad affrontare la crisi. Non dico che le ricette neoliberiste siano più utili. Ma il rafforzamento degli stati non serve. Serve semmai il rafforzamento della regolazione del capitalismo. Prendiamo la trasformazione ecologica: se non facciamo delle scelte, entro trent’anni vi sarà una catastrofe climatica. Ma le democrazie moderne non sono in grado di varare una politica per i prossimi trent’anni. Su questo, come sul modello della società dei consumi, dobbiamo aprire dibattiti e costruire maggioranze. La sinistra, con la sua scarsa adesione, non basta.

La scarsa adesione, l’astensionismo, l’indebolimento sostanziale della democrazia, stanno portando al governo della crisi le «grandi coalizioni». Germania, Grecia, Italia, le «larghe intese» condividono i fondamentali delle politiche economiche.

I cambiamenti necessari sono così grandi che abbiamo bisogno di intese larghe. Sociali, innanzitutto. La crisi non permette governi a colpi di maggioranze strette. Faccio un esempio: in Francia serve una riforma fiscale. Ma non è una riforma possibile da fare 51 per cento contro 49. Anche perché un terzo di quelli che hanno votato per il presidente Hollande in realtà ha votato contro Sarkozy. Un altro esempio: una grande riforma sul consumo del suolo ha bisogno di una maggioranza almeno del 70 per cento. Per me il problema non sono le grandi coalizioni politiche, ma le grandi coalizioni che non fanno le riforme necessarie.

Ma non è il cuore delle grandi coalizioni? Da quella tedesca Cdu-Spd, a quella italiana, Pdl-Pd, a quella greca: non contenere le culture politiche in grado di affrontare la crisi?

La sinistra non può illudersi di fare grandi riforme con il 30 per cento. Io non credo che Merkel stia affrontando bene il tema della trasformazione energetica, ma vedo che dopo il disastro di Fukushima la Cdu ha avuto la forza di fare una scelta antinucleare. Solo una grande coalizione dentro la società può far avanzare queste scelte. Noi ambientalisti abbiamo archiviato l’idea che la sinistra sia un bene e la destra un male. Sul tema dei diritti umani si può fare lo stesso discorso. Ammetto che sul tema delle riforme sociali le distanze fra culture siano più grandi. In Germania sarà varato il salario minimo, è un piccolo ma significativo avanzamento sociale. La sinistra che lo propone non ha il consenso: oggi due terzi dei tedeschi vuole Merkel cancelliera con il programma Spd.

Il che la dice lunga.

È la democrazia, dobbiamo farci i conti. Faccio un esempio per voi: le critiche degli ecologisti italiani alle politiche del governo spesso sono giuste. Ma il peso politico dell’ecologia in Italia è zero. O quasi. Il problema è che il movimento ecologista italiano, quando è diventato politico, ha assunto la stessa cultura del resto della politica italiana. Personalismi, divisioni. Oggi guardo con fiducia il nuovo movimento Green Italia. Guardo con fiducia all’idea di fondo dell’ecologia: si può vincere solo se mettiamo insieme gente che all’inizio insieme non sta. L’ecologia non è solo di sinistra, è l’idea della nostra Europa ecologia (il movimento verde di cui Cohn-Bendit è fondatore, ndr). Un progetto ecologista è fare un cammino insieme.

Come tutte le famiglie politiche europee, voi verdi indicherete un candidato alla presidenza della Commissione. E’ una riforma di fatto, ma che non corrisponde a un reale meccanismo di democratizzazione dell’istituzione europea. Non è solo un’illusione di democrazia?

L’idea di avere dei candidati presidenti – i verdi hanno un uomo e una donna – è per politicizzare davvero il voto. Per dire: non è una campagna nazionale, è scegliere un progetto per l’Europa. Se funziona anche solo un po’, è un passo avanti. Le europee, che si fanno a livello nazionale con liste nazionali, sono la riduzione su scala nazionale del tema dell’Europa. L’idea che abbiamo noi è esattamente opposta.