Quella legata all’immigrazione è un’emergenza che l’Unione europea deve affrontare con la stessa «fermezza» con cui ha affrontato la crisi legata alle banche e al termine di una discussione «collegiale, seria e responsabile» che non lasci spazio a «battute estemporanee e al limite della facezia».
Parlando alla Farnesina alla Conferenza degli ambasciatori, nel sollecitare un intervento della Ue il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non nomina mai Austria e Ungheria ma è chiaro il riferimento alle recenti esternazioni fatte da alcuni leader politici dei due Paesi.

Il problema è che più che a Bruxelles, da dove difficilmente potranno arrivare soluzioni utili per l’Italia, quella sull’immigrazione è una partita che si gioca sempre più sul continente africano. Non a caso ieri il ministro degli Interni Marco Minniti, a Tunisi per la seconda riunione del Gruppo di contatto per la rotta del Mediterraneo centrale, ha sottolineato come «controllare il confine sud della Libia» dove oggi passano i migranti «significa controllare i confini meridionali dell’Africa settentrionale e dell’intera Europa».

Alla riunione, la seconda da quando il Gruppo di contatto è stato creato a Roma a marzo scorso, hanno partecipato i ministri degli Interni di otto paesi europei, Italia, Francia, Austria, Germania, Slovenia, Svizzera, Malta ed Estonia insieme ai colleghi di Tunisia, Algeria, Ciad, Egitto, Libia, Mali e Niger. Presente anche il commissario Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos. Ancora una volta, come ormai si prova a fare da quasi due anni, scopo del summit era quello di provare a esternalizzare le frontiere dell’Unione europea convincendo i leader dei paesi africani a collaborare nel fermare i flussi di migranti diretti in Europa. Per questo la partecipazione dei ministri di Ciad e Niger è ritenuta dal Viminale particolarmente importante. E’ in questi due paesi del Sahel, che con cinquemila chilometri di frontiera in comune con la Libia rappresentano i principali punti di passaggio delle carovane di migranti, che l’Unione europea vorrebbe istituire dei campi gestiti da Oim e Unhcr dove fermare i migranti fornendo loro informazioni e assistenza, ma soprattutto per convincerli a rimpatriare volontariamente. Per questo scopo ieri sarebbero stati stanziati anche nuovi finanziamenti da destinare alle due organizzazioni.

Intanto per oggi pomeriggio al Viminale è previsto l’incontro tra il ministro Minniti e le Ong impegnate nel Mediterraneo. Sul tavolo c’è il Codice di comportamento che le organizzazioni umanitarie, alle quali va il merito di una gran fetta dei salvataggi , dovranno attenersi in futuro. L’incontro sarà solo l’avvio della discussione, ma sembra ormai chiaro che solo alcune Ong, probabilmente le più grandi, accetteranno di sottoscrivere le nuove regole che, tra l’altro, impongono la presenza di agente di polizia giudiziaria a bordo e il divieto di trasbordo su altre imbarcazioni dei migranti tratti in salvo. «Il rischio è che in questo modo si crei una divisione tra Ong buone e quelle che invece si rifiutano di firmare il nuovo codice, rallentando così le operazioni di soccorso dei migranti!», spiega l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, presidente dell’associazione Diritti e frontiere, preoccupato soprattutto dal fatto che in futuro possa essere impedito il trasferimento dei migranti salvati a bordo di navi più grandi. «Il trasbordo è essenziale», prosegue Paleologo. «Ci sono imbarcazioni più piccole che hanno maggiore facilità nell’avvicinare i barconi in difficoltà, ma minore capacità di accoglienza a bordo. Bisogna considerare poi che tutte le operazioni vengono concordate con la Guardia costiera italiana, che adesso potrebbe vedere messa in discussione la sua autonomia dalla decisone del ministero degli Interni».

Difficile capire oggi cosa potrebbe accadere alle Ong che rifiuteranno di sottoscrivere il Codice. Le nuove regole consentono di effettuare i salvataggi anche in acque libiche solo in presenza di un’emergenza, ma è possibile che una volta in porto la Ong che ha effettuato il soccorso si veda contestare dalla polizia – a cui spetta il compito di effettuare i controlli – il carattere di urgenza. Se così fosse non è escluso che si possa verificare un nuovo caso Cap Anamur, la nave dell’omonima Ong tedesca con a bordo 37 profughi sudanesi alla quale nel 2004 il Viminale negò l’attracco a Porto Empedocle per 21 giorni. Alle fine i migranti vennero fatti sbarcare e assistiti, ma il comandante Stefan Schmitd fu accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la nave sequestrata. Cinque anni dopo Schmit venne assolto dall’accusa dal tribunale di Agrigento.