L’annuncio con le fanfare dell’approvazione del pacchetto clima “FitFor55” dell’Unione Europea stride con la inadeguatezza degli obiettivi che si pone. Mentre gli incendi devastano Canada e Siberia – un fenomeno in aumento quello degli incendi nell’area artica, certamente legati alla crisi climatica – l’UE si presenterà alla prossima Conferenza delle Parti di Glasgow con un obiettivo di riduzione e un relativo pacchetto di misure non coerente con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Il taglio del 55 per cento delle emissioni di CO2 al 2030, infatti, non è sufficiente. Si tratta di un pacchetto clima che ricalca la legge tedesca sul clima del 2019 che, impugnata da giovani attivisti e alcune organizzazioni, tra cui i FridaysForFuture e Greenpeace. Quella norma è stata parzialmente bocciata dalla Corte Costituzionale tedesca che ha riconosciuto che gli obiettivi da essi fissati non sono sufficienti. L’obiettivo di riduzione dovrà essere alzato – gli ambientalisti chiedono il 65 per cento – perché sia coerente con le stime degli scienziati per mantenere la temperatura globale “ben al di sotto” dei 2°C e meglio a 1,5°C, come recita l’Accordo di Parigi. E’ plausibile che la decisione della Corte tedesca influirà anche sul pacchetto europeo che dovrà essere rivisto.

Tra le iniziative del pacchetto, su un settore critico per le emissioni di CO2 come quello dei trasporti, la messa al bando delle vendite di nuove auto a benzina e diesel al 2035 è in troppo ritardo. Certo è un segnale per tutta l’industria, e l’Italia diversamente da altri Paesi europei si è ben guardata anche solo dal discuterne, ma la data rimane troppo lontana.
Anche l’obiettivo fissato a scala europea per le rinnovabili – il 40 per cento al 2030 – non è in linea con l’Accordo di Parigi – bisognerebbe fissare il 50 per cento – e tra le rinnovabili andrebbe escluso l’utilizzo industriale delle biomasse estratte direttamente dalle foreste.

Una rigorosa strategia di conservazione delle foreste, infatti, consentirebbe un assorbimento di CO2 doppio rispetto a quello stimato. Inoltre, data l’urgenza di tagliare le emissioni, usare industrialmente le foreste per produrre energia è controproducente, perché tale scelta presenta un bilancio della CO2 negativo per il clima nel breve e medio periodo. Verranno escluse le poche foreste primarie ancora esistenti, mentre l’uso industriale delle foreste viene consentito in gran parte dell’area forestale europea.

Una politica seria di riduzione delle emissioni richiederebbe invece misure più incisive: un taglio dei sussidi alle fonti fossili, l’abbandono degli investimenti sul gas fossile e non solo sul carbone, una tassazione dei voli aerei specie di breve e medio raggio (una tassa sul kerosene per aerei sarà pienamente applicata e con diverse esenzioni solo nel 2033), investimenti sulle ferrovie e l’integrazione delle reti europee, un taglio deciso degli allevamenti intensivi, oltre che una seria politica di conservazione forestale, per non parlare degli impatti del settore agricolo (a cominciare dagli allevamenti intensivi) ampiamente ignorati dalla nuova Politica Agricola Comune.

Un altro aspetto fortemente discutibile è lo spazio dato all’idrogeno a “basse emissioni di CO2” – il cosiddetto idrogeno blu prodotto da gas fossile – cui si darebbero permessi di emissione gratis: un regalo all’industria fossile che, senza finora grandi successi, propone da molto tempo questa “soluzione” (mettere la CO2 sottoterra, come mettere la polvere sotto il tappeto e a costi notevoli). Anche sull’efficienza energetica, l’obiettivo di un aumento al 36 per cento è troppo basso, secondo le stime dello scenario della rete delle associazioni ambientaliste Climate Action Network (CAN) andrebbe fissato un obiettivo del 45 per cento.

Dunque, un pacchetto di politiche e misure che è insufficiente già all’origine (il taglio delle emissioni solo del 55 per cento al 2030) e che mostra di non voler toccare alcuni settori (allevamenti intensivi, voli aerei) e di voler dar spazio a un settore come quello del gas fossile.
L’aggravarsi della crisi climatica, le crescenti preoccupazioni dei cittadini europei e la serie di pronunce delle corti sulle diverse “cause climatiche” richiederebbero più ambizione, più coraggio e meno mediazioni con i settori più inquinanti.

* Direttore Greenpeace Italia