L’accordo tra il presidente Yanukovich e l’opposizione è stato firmato ieri nel primo pomeriggio di fronte alla delegazione dei mediatori europei ridotta da tre a due ministri degli esteri, il tedesco Frank-Walter Steinmeier e il polacco Radoslaw Sikorski, perché il francese Laurent Fabius aveva lasciato Kiev per Pechino, dopo una notte di negoziato. Ma gli europei restano estremamente prudenti, la situazione in Ucraina resta molto confusa e in continuo cambiamento. L’appoggio russo si è fatto aspettare, le manifestazioni continuano e il fronte dell’opposizione è disunito. “E’ un buon compromesso per l’Ucraina – ha commentato Sikorski – dà una possibilità alla pace, apre la porta delle riforme in questo paese e verso l’Europa”. Steinmeier, uscendo dal palazzo presidenziale, ha sottolineato che la fase resta “delicata”, per Sikorski “tutte le parti devono avere in testa che un compromesso non puo’ essere soddisfacente al 100%”. Per il Quai d’Orsay, “la situazione resta molto complicata” e l’accordo serve prima di tutto per cercare di “evitare un bagno di sangue” ulteriore. Fabius parla di “un buon accordo, il meglio che ci si poteva aspettare”, per David Cameron “dovrebbe favorire una soluzione politica durevole”. François Hollande, come il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, chiede “la messa in opera nella sua integralità e nel più breve tempo possibile dell’accordo”. Per il primo ministro polacco, Donald Tusk, “la strada verso un accordo è stata lunga”.

La vigilia, la Ue aveva deciso delle sanzioni contro il regime di Kiev, per fare pressione. Ma anche su questo fronte, la prudenza è d’obbligo, anche perché le divisioni tra europei permangono, molti paesi restano scettici sull’efficacia di quest’arma e addirittura alcuni temono che sia controproducente (anche a est, la Bulgaria per esempio). “Il principio delle sanzioni è stato votato a Bruxelles – ha commentato un portavoce del ministero degli esteri francese – ma per il momento la Ue auspica che venga trovato un accordo politico e che le violenze cessino per ridare prospettive politiche al popolo ucraino”. Nei fatti, le sanzioni, che sono un’arma ormai classica della diplomazia della Ue, sono soprattutto simboliche. Non si sa ancora chi saranno le personalità politiche ucraine a cui non verrà concesso il visto per la Ue (gli Usa hanno vietato il visto a una ventina di personalità), ma già sembra che questa misura non riguarderà i principali dirigenti. La minaccia di congelamento degli averi di alcuni dirigenti conservati nella Ue prenderà tempo per venire tradotta in opera, se mai lo sarà: sono le banche di Cipro ad avere nelle casseforti la maggior parte dei soldi dei dirigenti ucraini. Per quanto riguarda poi l’embargo sulla vendita di armi e di materiale di repressione è facile immaginare che nessun paese della Ue sarà troppo zelante nel rivelare eventuali commerci di questo tipo.

Ieri, il segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha condannato lo “scandaloso bagno di sangue” a Kiev e inviato al “dialogo”, come “sola strada” per trovare una soluzione. La Nato è uno degli elementi di tensione tra Russia e occidente: Bush avrebbe voluto l’adesione dell’Ucraina. L’Unione europea non ha molto da offrire all’Ucraina: né finanziamenti che possano fare concorrenza a quelli russi, né tanto meno una prospettiva di adesione, al di là del trattato di associazione che avrebbe dovuto essere firmato a novembre e si è trasformato nella scintilla che ha scatenato l’incendio. Ma la Ue avrebbe almeno potuto assicurare alla Russia che la questione dell’adesione dell’Ucraina alla Nato era stata sotterrata per sempre, con l’obiettivo di permettere a questo paese di fare da ponte tra occidente e Russia. Ma malgrado l’attenzione che la Germania, paese che ha in mano la diplomazia Ue sul fronte ucraino, dedica alle relazioni con la Russia, non c’è stata finora nessuna iniziativa per chiarire la questione delicata della Nato, che avrebbe potuto rappresentare un punto di partenza per un chiarimento geopolitico.