I capi di stato e di governo dei 27, frustrati per l’incapacità a risolvere la penuria di vaccini e impotenti di fronte al potere delle case farmaceutiche, hanno concluso la seconda giornata del Consiglio europeo straordinario attorno al segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ribadendo la necessità di «una forte partnership» con l’Alleanza atlantica nella versione Joe Biden e sognando un’«autonomia strategica europea». Che cos’è questa «autonomia strategica», quando il blocco si dibatte nelle difficoltà sui vaccini?

Dagli Usa, il medico belga-marocchino, Moncef Slaoui, responsabile della campagna di vaccinazione oltre Atlantico, pochi giorni fa ha dato una lezione agli europei, che nessuno però ha voluto ascoltare: la lotta alle pandemie, presenti e future, dovrebbe essere considerata un elemento della difesa nazionale e quindi gli investimenti in questo settore dovrebbero comprendere una percentuale per i vaccini e le medicine. Ma ieri nel Consiglio europeo in video-conferenza non si è parlato di questa “guerra” contro il Covid.

Nel comunicato finale la Ue assicura: «Siamo impegnati a collaborare strettamente con la Nato». La cooperazione tra Europa e Nato è di “importanza strategica”, in particolare per la cyber-sicurezza, le minacce ibride, la mobilità militare. In questo contesto, la Ue intende rafforzare il proprio apparato militare-industriale, in stretta collaborazione tra pubblico e investimenti privati: i campi di azione individuati per emergere in quella che la presidente della Commissione Ursula von der Leyen (ex ministra della Difesa tedesca) ha chiamato «gara tecnologica globale», sono i droni, la comunicazione e il traffico spaziale. C’è un piano di azione sulle sinergie civili, di difesa e dello spazio, che sarà codificato nello Strategic Compass (bussola strategica) previsto per il marzo del prossimo anno, praticamente un’appendice dello Strategic Concept Nato.

La sicurezza e la difesa restano in gran parte questioni nazionali, malgrado l’esistenza di un embrione di Unione europea della difesa. Dietro il concetto di «autonomia strategica europea» ci sono interpretazioni molto diverse. I paesi dell’est e i Baltici, cioè i paesi in primo piano sul fronte russo, non vedono di buon occhio questa espressione, perché temono che nasconda un disimpegno statunitense (e della Nato) nelle tensioni con Mosca. Il concetto è invece propugnato soprattutto dalla Francia, che, dopo il Brexit, è ormai l’unico paese della Ue membro permanente del Consiglio di sicurezza Onu, dotato dell’arma nucleare.

Ieri, i vertici della Ue si sono precipitati a lustrare le scarpe di Stoltenberg: «Una forte partnership richiede partner forti – ha detto il presidente del Consiglio Ue, Charles Michel – per questo sono convinto che un’Europa più forte è una Nato più forte». Michel ha evocato una futura «cooperazione senza precedenti» con la Nato anche nei campi del «cambiamento climatico» e delle «migrazioni», oltreché in quello delle «cyber-minacce». La Ue è chiamata ad «aumentare la capacità ad operare autonomamente», ma nella visione Usa significa aumentare il contributo finanziario alla Nato. In questo Biden non è diverso da Trump, che aveva preteso un aumento fino al 2% del pil: gli europei devono pagare di più per la loro difesa. «Sono totalmente convinto che la nuova amministrazione Biden offra un’opportunità unica per rinnovare la stretta alleanza tra Europa e Usa», ha detto Charles Michel.

Ursula von der Leyen ha fatto il punto sui primi elementi dell’Europa della difesa, sulla Csp (Cooperazione strutturale permanente), che sarà sostenuta dal nuovo Fondo europeo di difesa, dotato di 8 miliardi per lo sviluppo delle capacità miliari e per «ridurre la frammentazione» esistente. La Ue mette 5 miliardi in più per la European Peace Facility, per la cooperazione militare, ma la Francia, che si sente sola nell’operazione in Mali dove interviene dal 2013 (a cui partecipano con il contagocce altri partner europei), vorrebbe più impegno, ma molti intendono limitarsi all’addestramento di militari locali.

Nel capitolo dedicato alla partnership meridionale, di “importanza strategica” a 25 anni dall’avvio del processo di Barcellona, ci sono 2,3 miliardi di aiuti, uno per la salute (qui è il solo punto dove entra la lotta alla pandemia) e 1,3 miliardi per il rilancio economico. La Commissione propone fino a 7 miliardi per la cooperazione allo sviluppo in questa ottica di «sicurezza e difesa», nel programma dalla sigla sconosciuta «Iucdci», che dovrebbe potenzialmente mobilitare fino a 30 miliardi, tra investimenti pubblici e privati.