L’Europa prova a fare la voce grossa con Erdogan, ma in realtà si prepara a cedere ancora una volta ai ricatti del presidente turco. E soprattutto si organizza per impedire l’ingresso nei suoi confini delle decine di migliaia di disperati che da venerdì scorso si accalcano alle frontiere greche. «La via verso l’Europa è chiusa» ha detto ieri a scanso di equivoci il portavoce di Angela Merkel, la cancelliera che ancora una volta, come già successo nel 2016, si prepara ad assumere un ruolo da protagonista nella gestione della nuova crisi.

Oggi i presidenti della Commissione europea Ursula van der Leyen, quello del parlamento europeo David Sassoli e il presidente del Consiglio Ue Charles Michel saranno in Grecia per un sopralluogo nelle isole dell’Egeo insieme al premier greco Kyriakos Mitsotakis. Scopo del viaggio è quello di individuare gli interventi utili a migliorare le condizioni dei profughi che già si trovano a Lesbo e negli altri centri di raccolta, da anni sovraffollati all’inverosimile. «Cercheremo di sostenere la Grecia e vedremo anche quali misure dovranno essere prese per sostenere la vita di povera gente che lascia la Turchia e viene in Europa», ha spiegato Sassoli.

Già nel vertice straordinario dei ministri dell’Interno Ue che si terrà domani a Bruxelles è possibile quindi che verrà proposto lo stanziamento di nuovi fondi, ma anche l’invio di aiuti umanitari e di funzionari per aiutare le autorità greche nell’esame delle richieste di asilo (ieri però Atene ha sospeso per un mese la presentazione di nuove domande). Quello che invece è sicuro è che Frontex, l’agenzia europea per le frontiere, si è detta pronta a intervenire fin da subito a difesa dei confini greci, sia marittimi che terrestri.

Dopo aver annunciato ai profughi che erano liberi di lasciare la Turchia, ieri Erdogan è tornato a provocare l’Unione europea. «Ora anche voi dovrete dividere il fardello dei migranti», ha detto il presidente turco che continua a usare i quasi quattro milioni di profughi che si trovano nel Paese per fare pressione su Bruxelles. «Quando abbiamo aperto le porte abbiamo ricevuto una telefonata dopo l’altra per chiederci di chiuderle. Ma ora le porte sono aperte». Parole che – dette da chi ha ottenuto sei miliardi di euro per bloccare le partenze dei profughi -, suonano come una provocazione. Anche perché sottintendono una nuova richiesta di denaro. Erdogan «non deve regolare i suoi problemi con l’Unione europea sulle spalle dei rifugiati», gli ha risposto la cancelliera Merkel, definendo «inaccettabile» quanto sta facendo Ankara.

La realtà è che nei confronti dei profughi, ma anche di Atene, l’Europa ha la coscienza sporca. Se oggi le isole greche rappresentano un inferno in terra per decine di migliaia di uomini, donne e bambini (4 migranti su 10 sono minori, secondo Save the Children) è perché quando si è trattato di tendere una mano, la maggior parte degli Stati ha voltato la testa preferendo guardare da un’altra parte. Dei 160 mila migranti che dovevano essere ricollocati dal 2016, gli Stati si erano infatti impegnati a prenderne 98.256 ma ne hanno accolti realmente solo 34.705, 21.999 dalla Grecia e 12.706 dall’Italia. Contribuendo così alla crisi delle isole greche, tanto che ai primi di gennaio, quando la crisi di questi giorni non era neanche immaginabile, alla richiesta di prendere dei profughi da Lesbo per alleggerire la tensione sull’isola, l’Austria ha preferito rispondere di no: «Non siamo a disposizione», ha detto il premier Sebastian Kurz.

Nulla fa pensare che le cose possano cambiare ora. Dalla stessa Germania, alla Bulgaria, alla Croazia è tutto un coro di chi chiede una «riedizione» del patto siglato nel 2016 con Erdogan, mentre si prepara un nuovo giro di vite ai confini della rotta balcanica. Soldi, uomini e mezzi. Tutto pur di scongiurare una nuova ondata di disperati.