Che dal vertice di Tallinn potessero arrivare buone notizie per il governo Gentiloni, ormai non ci credeva più nessuno. Ma che i ministri degli Interni dell’Unione europea alzassero nei confronti dell’Italia un muro così alto e ostile come quello che si è visto ieri in Estonia deve aver sorpreso anche il ministro Minniti. Senza neanche perdersi in giri di parole diplomatici, l’Europa ci ha detto chiaro e tondo che di condividere i migranti che sbarcano nel nostro paese non ci pensa neppure, quindi se il governo italiano vuole chiudere i suoi porti alle navi delle Ong straniere, come ha minacciato solo una settimana fa, facesse pure. Un altolà reso ancora più duro dalla presa di posizione del commissario Ue all’Immigrazione Dimitri Avramopoulos che ha escluso, come aveva chiesto sempre Roma, di poter cambiare il mandato della missione europea Triton, anche se poi ha fatto una piccola marcia indietro. Di «regionalizzazione» dei migranti, ovvero della possibilità di farli sbarcare in altri porti europei e non solo in quelli italiani, alla fine se ne parlerà martedì prossimo a Varsavia in sede di Consiglio di gestione di Frontex, l’agenzia europea per le frontiere. Ma sarà meglio non farsi troppe illusioni.

Per Minniti quello di ieri non deve essere stato un buongiorno piacevole. Appena il tempo di arrivare nel paese baltico e, in sequenza, prima il Belgio, poi Olanda e Spagna e infine anche la solitamente «solidale» Germania hanno dichiarato la propria indisponibilità ad aprire i rispettivi porti. «Rischierebbe di tradursi in un fattore di richiamo che vorremmo evitare», hanno spiegato fonti diplomatiche tedesche rispolverando un vecchio luogo comune sui salvataggi nel Mediterraneo che va avanti dai tempi della missione Mare nostrum. In realtà con le elezioni alla porte, dopo aver fatto slittare la riforma di Dublino la cancelliera Merkel punta ora a mettersi al riparo dalle bordate che di sicuro le arriverebbero da destra se aprisse di nuovo le porte del paese ai migranti.

L’alzata di scudi di ieri – forte anche del sostegno dei Paesi del gruppo Visegrad – rende adesso ancora più difficile la situazione dell’Italia che ha di fronte a sé un’estate in cui gli sbarchi rischiano di aumentare di giorno in giorno. Ma che dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi, si trova ora messa all’angolo e deve decidere se dare seguito oppure no alla minaccia di chiudere i porti limitando così gli sbarchi. Decisione che, se attuata, trasformerebbe una situazione già pesante in un disastro sia umanitario che politico.

Per questo ieri a Minniti è convenuto puntare sui risultati ottenuti, che ricalcano i punti del Piano d’azione varato dalla Commissione europea e tutti comunque destinati a rendere ancora più difficile la vita dei migranti. Si va dal rifinanziamento del Fondo per l’Africa da utilizzare per sostenere i Paesi di origine e di transito dei migranti e in particolare la Libia, dove è previsto che a Tripoli venga costituito un centro di coordinamento dei salvataggi in mare. Sempre la Libia, insieme a Egitto e Tunisia, dovrebbero inoltre costituire proprie aree di ricerca e salvataggio (Sar) mentre contemporaneamente si intensificheranno i rimpatri. «Per l’Italia è la parte più importante delle misure avallate oggi», ha spiegato Avramopoulos. Abbiamo constato che la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia sono economici: devono essere rimpatriati, è la sola opzione». Minniti ha spiegato infine che i Paesi di origine che non agevoleranno i rientri «avranno restrizioni sui visti da parte dei singoli Paesi europei. Anche questa è un’iniziativa senza precedenti».

Infine il nuovo codice di condotta per le Ong, il punto sul quale l’Italia ha maggiormente insistito e che ieri l’Ue ha fatto proprio. Si tratta di undici divieti che le navi delle organizzazioni umanitarie impegnate nel Mediterraneo dovranno rispettare, dal divieto di ingresso nelle acque libiche a quello di spegnere i trasponder di bordo, dal non poter effettuare trasbordi di migranti su altre navi italiane o che partecipano alle missioni europee all’obbligo di avere a bordo un agente di polizia giudiziaria.

Di Africa si è parlato infine anche alla Farnesina, dove ieri si è svolto il vertice con i paesi di transito dei migranti. Presenti, oltre al ministro Angelino Alfano, i ministri degli Esteri di alcuni Paesi europei e rappresentanti dei governi di Libia, Niger, Tunisia, Egitto, Ciad, Etiopia e Sudan. «Dobbiamo spostare la nostra azione a sud della Libia, per fare in modo che diminuisca il numero dei migranti che vi fanno accesso», ha spiegato Alfano al termine dell’incontro, durante il quale l’Italia si è impegnata a investire 31 milioni di euro: 10 per il rafforzamento delle frontiere meridionali della Libia, 18 da destinare all’Oim per i rimpatri volontari sempre dal Paese nordafricano e, infine, 3 milioni all’Unodc, l’agenzia Onu che si occupa di combattere il traffico di esseri umani.