Il tempo per mettere in regola le carceri italiane è scaduto ieri, ma il verdetto della Corte europea dei diritti umani e del Consiglio d’Europa arriverà solo la prossima settimana. Tutti col fiato sospeso, al ministero di Giustizia, dove tira aria di rivoluzioni. Il Guardasigilli Andrea Orlando non si sbottona e mostra un «cauto ottimismo». Però martedì sera, proprio nell’ultimo giorno utile per le riforme strutturali che Strasburgo ha chiesto all’Italia nella sentenza pilota Torreggiani, inaspettatamente ha fatto rientrare nello spoil system di routine, anche il capo dell’amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino. «Una pausa di riflessione», la definisce Orlando. Ma il messaggio è chiaro.

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Ministro, lei ha detto di essere «non trionfalista ma cautamente ottimista» sul giudizio che la Cedu darà sulle misure prese per ripristinare una condizione di legalità nelle carceri. Cosa si attende esattamente, una proroga della scadenza?

Non azzardo previsioni, sono però fiducioso visto che la vice segretaria generale del Consiglio d’Europa, la dottoressa Battaini Dragoni, ha dimostrato apprezzamento per il rispetto degli impegni che avevo assunto nella mia prima visita e per l’evoluzione complessiva registrata dal nostro sistema penitenziario, che è tornato sotto controllo grazie ad una serie di norme introdotte già dai miei predecessori e anche in questi mesi. La messa alla prova, per esempio, e soprattutto le norme sulle droghe, varate per recepire la sentenza della Consulta, che stanno producendo effetti significativi in termini di numeri. Inoltre in tre mesi abbiamo firmato cinque convenzioni con le Regioni, che si aggiungono ad altre due stipulate in precedenza, per il trasferimento dei detenuti tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche. Ho poi indicato una prospettiva della riforma della custodia cautelare e sottoposto alla Corte lo stato dell’arte che segnala elementi di miglioramento.

Facciamo chiarezza sui numeri? I posti disponibili sono circa 40 mila, come sostengono i Radicali e Antigone, o più di 44 mila, come sostiene il Dap?

Il dato su cui metto la mano sul fuoco è il numero di detenuti, che sono incontrovertibilmente scesi di circa 7 mila unità dai tempi della sentenza Torreggiani e di quasi 10 mila dai 69 mila del 2010. Mentre è molto più difficile avere un dato certo sui posti effettivamente disponibili, un numero che varia in funzione della momentanea disponibilità delle strutture penitenziarie, ma mi sento di dire che siamo significativamente oltre 40 mila. Anche se su questo capitolo i risultati dei nostri sforzi non sono ancora soddisfacenti. L’azione principale del piano era infatti incentrata tutta sull’edilizia carceraria che non mi ha mai convinto. Invece, invito a considerare i progressi possibili sul versante del rimpatrio dei detenuti stranieri. È importante ricordare che non stiamo parlando di persone provenienti da Paesi che non vogliono farsene carico o che hanno condizioni carcerarie peggiori delle nostre: se riuscissimo a rimpatriare tutti i detenuti comunitari avremmo quasi la soluzione al sovraffollamento, perché stiamo parlando solo ora di quasi 5 mila unità.

E per quanto riguarda il meccanismo di compensazione per chi ha già vissuto la condizione di maltrattamento, a cominciare da quei 6829 detenuti i cui ricorsi sono già pendenti?

Stiamo profilando un’ipotesi di sistema risarcitorio interno che renderemo pubblica nei prossimi giorni. Ma al di là dei numeri e dei risarcimenti, come sollecita la sentenza Torreggiani, per la prima volta ci stiamo impegnando su una riforma qualitativa e non solo quantitativa delle condizioni di vita carcerarie. Il sistema digitale di catalogazione degli istituti di pena, messo in rete pochi giorni fa, contiene non solo i numeri ma anche l’analisi delle attività che svolgono i detenuti, del sistema sanitario e dei percorsi trattamentali previsti.

Comunque continueremo ad essere un Paese osservato speciale da parte dell’Europa?

Penso che in ogni caso, anche con un esito positivo, ci sarà comunque una fase di osservazione. Che però può essere assolutamente funzionale per affrontare un riassetto complessivo del sistema, e per smettere di rincorre solo l’emergenza. D’altronde se le nuove norme introdotte – come quella che prevede l’utilizzo sistematico delle pene alternative – non si accompagnano con un piano di riforme organizzative, c’è il rischio che tutto rimanga sulla carta. Ed è importante, in un passaggio così delicato, che l’attenzione dell’opinione pubblica non diminuisca.

Il senatore Luigi Manconi e con lui una decina di deputati del Pd, Sel e anche Ncd, si uniscono alla richiesta dei Radicali di un provvedimento di amnistia e indulto, come sollecitato anche dal capo dello Stato. Le chiedono di promuoverlo, di andare «avanti con audacia»; cosa risponde?

Penso che ora dobbiamo attendere il pronunciamento della Corte, vedere quali risultati porta la strategia che abbiamo messo in atto, proseguire con le riforme strutturali sulle pene alternative e complessivamente sul sistema penitenziario e sanzionatorio. E poi lavorare con grande alacrità affinché queste norme diventino effettivamente efficaci. Non ho pregiudiziali ideologiche ma se le tendenze che registriamo si consolidano – nell’ultimo mese c’è stata una diminuzione di 500 detenuti – non credo che sia necessario un provvedimento emergenziale. In più, credo che questa discussione rischia di distogliere l’attenzione su coloro che in ogni caso rimarranno in carcere. Il sistema penitenziario ha bisogno di una riforma che non si esaurisce con un provvedimento emergenziale e che invece rischia così di passare in secondo piano.

Da poche ore ha revocato l’incarico all’attuale capo del Dap, Giovanni Tamburino. Come mai? Chi e quando gli succederà?

C’è bisogno di una pausa di riflessione. Finora, con un’emergenza da affrontare, non si poteva parlare di organigrammi, ma ora vorrei anche legare l’assetto del Dap alla nuova fase e per questo ho bisogno di un tavolo sgombro. Ora voglio riservarmi qualche giorno per ragionare e verificare tra le diverse possibili soluzioni.

Un’amministrazione così complessa, sulla quale rischiamo sanzioni europee, deve essere per forza guidata da un magistrato?

Penso ad un riassetto complessivo e completamente diverso dell’amministrazione penitenziaria, che va innervata anche di figure prevenienti da altri percorsi.

Il Dap di Tamburino ha emesso una circolare per vietare ai direttori dei carceri di fornire informazioni ad Antigone. Fa così paura l’attività di controllo delle associazioni “terze”?

Ho spinto perché ci fosse la massima trasparenza. E anche l’iniziativa del data base va esattamente in questa direzione: non più solo dati aggregati nazionali o una fonte unica centrale che dirama informazioni, ma dati – qualitativi e non solo quantitativi – da ogni singolo istituto. Questo aiuta anche chi fa volontariato ad ottenere informazioni e, eventualmente, a sindacarle.

Tra poche ore la Cassazione si esprimerà sui criteri da seguire per il ricalcolo delle pene comminate sulla base di leggi ritenute poi incostituzionali dalla Consulta, come la Fini-Giovanardi. Il governo sta pensando di intervenire sul problema o ancora una volta risolverà tutto una corte di giustizia?

In questo caso la Corte fa un lavoro che corrisponde alle sue finalità istituzionali. Noi siamo appena intervenuti sulla legge sulle droghe e ora mi auguro che le nuove norme eliminino le distorsioni più traumatiche che la vecchia legge aveva provocato sulla detenzione. Poi, credo che si possa ipotizzare una riflessione seria e pacata sul sistema di pene legato alle droghe, ma in generale credo che occorra una riforma di tutta la normativa penale.

Finalmente rimettere le mani sul Codice Rocco?

Soprattutto sulla parte speciale. Perché ci sono una serie di norme che si sono sovrapposte, spesso emesse su impulsi contingenti e di carattere propagandistico, senza valutare gli effetti e le distorsioni che avrebbero prodotto sul sistema. È molto importante raccogliere la raccomandazione di importanti penalisti, cito per tutti Luigi Ferrajoli, che ritengono necessario un corpus organico di norme che stabilisca una gerarchia di pene.

Reato di tortura: la legge in discussione in parlamento ne prevede uno che non ha le caratteristiche previste dalle convenzioni firmate dall’Italia. Cosa ne pensa?

Considero quel testo un punto di equilibrio, comunque un passo avanti, tenendo conto delle condizioni politiche date. L’ottimo è nemico del bene.