In un video registrato dai 27 capi di stato e di governo europeo e dai 3 presidenti delle istituzioni (Consiglio, Commissione, Parlamento) per i 70 anni della dichiarazione di Robert Schuman, che il 9 maggio 1950, proponendo la comunità del carbone e dell’acciaio, poneva la prima pietra della costruzione europea, al di là di varie dichiarazioni di fede e promesse di impegno solidale per il futuro, c’è una sola mezza notizia: Angela Merkel afferma «faremo la nostra parte» per far uscire la Ue dalla crisi scatenata dal coronavirus.

IL 20 MAGGIO è la nuova data (doveva essere il 6 maggio) attesa per la stesura del Recovery Plan da parte della Commissione, che dovrebbe far seguito al piano di 540 miliardi (240 del Mes, 100 del Sure per la disoccupazione, 200 dalla Bei per prestiti alle imprese) già approvato, ma non ancora operativo perché dovrà passare per il voto dei parlamenti nazionali (quindi non prima di metà giugno). Ci sarà nel frattempo un Consiglio europeo a Bruxelles con i leader in carne e ossa. Ma per il momento siamo ancora in alto mare. I “frugali”, guidati dall’Olanda, intendono limitare il piano di rilancio a dei prestiti da rimborsare. La Germania ha fatto un mezzo passo avanti, proponendo un aumento del bilancio pluriannuale europeo 2021-27 (che il Consiglio di fine febbraio però non è riuscito ad approvare), ma Berlino resta dell’idea che «le sovvenzioni non rientrano nella categoria di ciò che potremo accettare». S&D propone l’aumento delle risorse proprie Ue attraverso la tassazione delle multinazionali che vi sfuggono ampiamente (anche grazie ai paradisi interni alla Ue). La Germania avrà un ruolo accresciuto a partire dal 1° luglio, perché assume la presidenza a rotazione del Consiglio Ue (ora della Croazia).

SUL TAVOLO della Commissione c’è la proposta spagnola, sostenuta anche dalla Francia, che prevede un fondo di rilancio fino a 1,5 miliardi, finanziato da un debito perpetuo, che comprende quindi prestiti (a lunghissima scadenza) ma anche dei trasferimenti tra stati.

Non saranno i Coronabond, ma qualcosa che ci assomiglia. Il piano di rilancio avrà anche il compito di attenuare la divergenza crescente tra stati membri, che rischia di far esplodere la zona euro (la metà degli aiuti di stato approvati dalla Commissione, con maggiore flessibilità che nel passato, sono della Germania, paese tra l’altro meno colpito dal coronavirus). Venerdì è passata a Bruxelles una maggiore flessibilità per la ricapitalizzazione delle imprese da parte degli stati (con la condizionalità di non versare dividendi né bonus).

LE PREVISIONI economiche della Commissione per i paesi Ue sono drammatiche per il futuro immediato. Un allarme arriva dalla European Food Banks Federation: il “rischio fame” aumenta nell’Unione europea, fondata per garantire pace e prosperità. Già nel 2017 il 6,6% dei cittadini europei era in stato di povertà, con il coronavirus la percentuale potrebbe salire al 18% delle famiglie con bambini, secondo l’Unicef.

Nel giorno dell’Europa, tutti gli sguardi sono rivolti alla prossima settimana, dove verrà discusso uno dei simboli della costruzione europea, la libera circolazione, ostacolata dalla crisi sanitaria. Il 13 maggio dovrebbero esserci delle precisazioni da Bruxelles sulla riapertura delle frontiere Schengen, mentre quelle esterne della Ue dovrebbero rimanere chiuse fino al 15 giugno. «Vediamo la brutta faccia della storia tornare alla superficie di nuovo – ha detto il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn – Schengen è conosciuto nel mondo, ma quando c’è la polizia sul ponte dove è stato firmato il Trattato, questo fa male».

La Germania mantiene chiuse le frontiere con Francia, Austria, Danimarca, Lussemburgo (e Svizzera). Altri paesi fanno la stessa cosa. In Germania una dozzina di giuristi vicini alla Cdu di Merkel hanno scritto al ministro degli Interni, Horst Seehofer, perché riapra le frontiere: «Dopo più di 7 settimane si deve mettere fine alle barriere e alle dogane nel cuore dell’Europa». Asselborn sottolinea che la chiusura «colpisce la gente, che così dubita dell’Europa». La chiusura delle frontiere Schengen si abbatte sul turismo, che nella Ue rappresenta il 12% del pil e il 20% dell’occupazione (e ad essere più danneggiati sono i paesi che sono stati più colpiti dal Covid).