Ancora otto mesi e al massimo entro la prossima estate l’Unione europea sarà probabilmente riuscita se non a chiudere, quanto meno a ridimensionare la rotta del Mediterraneo centrale attraverso la quale oggi decine di migliaia di migranti tentano di raggiungere l’Europa dalla Libia. Otto mesi sono il tempo necessario alla missione europea Sophia per formare la nuova Guardia costiera libica, il cui addestramento è cominciato la scorsa settimana con i primi 78 militari inviati dal governo del premier Serraj. Per Bruxelles si tratta di un passo fondamentale nel tentativo di fermare i flussi in partenza dal paese nordafricano sorvolando, se non a parole, sulle violenze subite quotidianamente dai migranti in Libia. Compito della nuova Guardia costiera sarà infatti quello di fermare in acque territoriali i barconi riportando indietro quanti si trovano a bordo.

In discussione non è certo la missione Sophia, il cui impegno e professionalità sono ampiamente dimostrati dai numeri: 29 mila migranti salvati dal 7 ottobre 2015 – il 10% dei quali si trovava su carrette semi affondate – oltre a 337 imbarcazioni sequestrate e 99 presunti scafisti consegnati alle autorità italiane. «Il soccorso è un obbligo legale e un dovere morale. E’ proprio per evitare che ci siano 3.500 morti all’anno che vogliamo promuovere la formazione della Guardia costiera libica», ha spiegato ieri il comandante della missione, ammiraglio Enrico Credendino.

Peccato che a quanto pare Bruxelles non intenda permettere che i migranti salvati dai libici possano essere consegnati alle navi europee, scegliendo di rimandarli indietro. Una decisione che se tecnicamente non può configurarsi come un respingimento, pratica condannata nel 2012 da Strasburgo, non può neanche garantire l’incolumità dei migranti una volta riportati in Libia contro la loro volontà.