Il dibattito sul futuro degli assetti economico-istituzionali dell’eurozona avviene dopo aver capitalizzato lo scontro in cui le istanze contro l’austerità e il debito della Grecia sono state seccamente sconfitte. Non è pensabile che il destino dell’Europa reale prescinda da tale scontro. Il terreno in cui ora si sviluppa il confronto è allestito dai vincitori, non dai vinti.

Che l’accordo con il paese ellenico regga non è scontato: già con i governi precedenti a Syriza gli accordi siglati spesso restavano lettera morta. Ma quest’ultimo accordo, proprio per i suoi protagonisti, ha delineato le regole del gioco, lasciando intendere a tutti fin dove si può arrivare nella contesa con le classi dirigenti europee. In tal senso ha valore politico. L’austerità e l’ossessione di bilancio non si discutono.

Come ricorda Martin Wolf, la rottura con un paese implica un oggettivo sfaldamento del progetto della moneta unica, poiché si aprirebbe una strada che poi ogni paese in difficoltà potrebbe imboccare, rendendo la moneta unica più debole e meno credibile. Dentro questa cornice, Schäuble ha aperto a un’ipotesi di rafforzamento politico, con un super ministro delle finanze e un bilancio dell’eurozona. Segue la disponibilità francese a tale progetto, nonostante proprio Parigi sia tra le capitali meno propense a far slittare quote di sovranità verso l’alto e siano piuttosto in affanno a far rispettare le regole in vigore.

In Germania però sembrerebbe essersi aperta una crepa, con la maggioranza del comitato dei saggi, un organo indipendente di consulenza del governo di Berlino, che boccerebbe le proposte del nuovo asse Schäuble-Hollande. I saggi, infatti, esprimono dubbi su una possibile maggiore condivisione dell’area euro. Essi avanzano, invece, una proposta per fronteggiare crisi come quella greca (implicitamente nessuno le esclude, anzi tutti pensano a potenziali rischi provenienti da paesi ben più destabilizzanti). Il rischio di insolvenza delle finanze pubbliche, secondo i saggi, potrebbe essere fronteggiato attraverso la rimodulazione degli interessi sul debito, a condizione di manovre di aggiustamento condivise. Se tali manovre fossero disattese, a quel punto l’intervento del Fondo salva stati potrebbe avvenire solo dopo un taglio del debito in mano ai privati e se anche tale ipotesi non fosse praticata resterebbe l’uscita dall’euro.

Insomma una sorta di percorso a ostacoli alla fine del quale spunterebbe la messa alla porta del paese insolvente.

Le due ipotesi a ben vedere comprendono delle differenze, la seconda prenderebbe persino in considerazione una potenziale ristrutturazione del debito, seppur prevedibilmente fatta di tagli lineari, senza alcuna distinzione tra creditori privati ma più evidenti sono le sostanziali convergenze.

La Germania ormai pensa alla propria tutela finanziaria, e per ciò è disposta anche a rompere l’eurozona. Quando Schäuble invocava l’uscita «temporanea» della Grecia, infatti, non era in contraddizione con l’attuale proposta di rafforzamento politico dell’area, ma neppure con il percorso previsto dai saggi, perlomeno sul fatto di mettere in conto una rottura. Fino a non molto tempo fa un curioso refrain sosteneva invece che fosse impossibile uscire dall’euro, poiché le regole non lo prevedevano.

Qui si riflette il passaggio con la Grecia.

Siamo di fronte a un’ulteriore stretta nella vita dell’eurozona, dove le politiche economiche si basano su un crescente tasso di mercantilismo e l’ordoliberismo fondato sull’ipercompetizione è fatto anche di ferree regole di bilancio. Tutti quelli che riusciranno si accoderanno a tale parabola. E gli altri?