La genetica clinica ha sofferto e soffre tuttora di una grande contraddizione, evidente nei paesi europei che tradizionalmente adottano lo Stato sociale, a mano a mano che i servizi offerti dalla sanità pubblica si riducono: il valore socioeconomico di un servizio deve essere giustificato da motivi sia morali sia economici; nella pratica, si compiono calcoli costi-benefici che dipendono dai vantaggi eugenetici per la collettività acquisiti fornendo servizi di genetica clinica, soprattutto nella medicina clinica prenatale. Come un Giano bifronte, la genetica clinica mostra all’aspirante madre un volto, e allo Stato un altro. In gran parte, questa contraddizione è risolta supponendo che l’opinione su ciò che costituisce una vita degna di essere vissuta sarà condivisa dal medico, dalla paziente e dall’uomo con cui desidera avere figli. Tenendo in considerazione le riserve delle poche donne che si rifiuteranno di abortire, la genetica clinica sostiene che l’autonomia individuale, la scelta informata e il desiderio dello Stato di tenere il numero di bambini nati con gravi disabilità a un livello minimo convergeranno in un consenso sociale e culturale.

Il problema, per le donne a rischio, è decidere se vivono nel migliore di tutti i mondi possibili; i loro figli saranno accolti con entusiasmo, come una responsabilità condivisa dalla famiglia e dallo Stato, come nell’epoca d’oro dello Stato sociale scandinavo? Oppure lo Stato sociale che si riduce sempre più – come dimostra in modo particolarmente eclatante il caso dei bambini disabili nel Regno Unito – ha scelto di abdicare ai propri compiti? La combinazione di uno Stato che si ritrae dalle proprie responsabilità, fornendo al contempo test genetici, trasmette la responsabilità agli aspiranti genitori e, in particolare, all’aspirante madre; in questo modo la genetica, in un sistema politico-economico neoliberista, aiuta efficacemente a dare forma a un’eugenetica consumistica.

La sindrome della normalità

Non sorprende che il movimento dei disabili sia molto insospettito dal proliferare dei test genetici e li consideri intrinsecamente eugenetici – e le persone con disturbi dell’apprendimento sono state in prima linea su questo punto. In una cultura che per così tanto tempo ha dato per scontato che nessuna donna avrebbe voluto mettere al mondo un figlio affetto da sindrome di Down, e che chiunque avrebbe ritenuto utile una diagnosi prenatale, le questioni poste sono percepite come inquietanti e fuori tempo. Non è facile difendere la libertà riproduttiva delle donne e insieme rifiutarsi di categorizzare automaticamente la vita di una persona affetta dalla sindrome di Down come non degna di essere vissuta. Quando i test possono soltanto indicare la presenza o l’assenza (e non la gravità) della patologia, poi, il ragionamento diventa insostenibile, come è evidente nei numerosi dibattiti tra quanti sono favorevoli ai test prenatali e le persone con disturbi dell’apprendimento che sostengono il proprio diritto alla vita. La certezza che tutti gli aspiranti genitori vogliano un bambino normale – secondo le definizioni dei dottori – sta incominciando a vacillare: persone prive di disturbi all’udito ascoltano con disagio coppie di non udenti che dichiarano a gran voce di preferire di gran lunga un bambino sordo e che vorrebbero usare la diagnosi genetica preimpianto (Pgd, Preimplantation genetic diagnosis) per esserne sicuri. Giustapposto ai desideri dei genitori, troviamo il diritto del bambino ad avere un futuro. Siamo di fronte a territori morali inesplorati: invece del regno incontrastato della vecchia normalità definita dai medici, è necessario che le tematiche etiche siano sviluppate e discusse in modo democratico.

Sebbene l’eugenetica di Stato abbia fatto marcia indietro, sono ancora frequenti nella cultura, nella società e nell’economia neoliberiste pressioni eugenetiche; e là dove la razza è centrale nella cultura e nella politica, come nel caso degli Stati Uniti, la pressione può ancora concentrarsi lì. Il sociologo afroamericano Troy Duster, figura di spicco nel programma Elsi del Progetto Genoma Umano, negli anni Ottanta svolse uno studio sull’introduzione, in California, di test genetici prenatali per le famiglie afroamericane più povere.

I figli di ricambio

Nel contesto della riluttante accettazione del welfare da parte della California (per non parlare dell’energico impegno nella sterilizzazione forzata delle donne afroamericane), i finanziamenti per il programma furono prelevati da quelli dedicati al supporto materiale che le famiglie avevano ricevuto fino a quel momento. Duster sottolineò l’approccio ben diverso del Regno Unito, dove tali programmi di diagnostica erano stati discussi e poi respinti sulla base del rapporto costi-benefici. Nel contesto di uno Stato sociale più generoso, persino nel pieno del thatcherismo, la razionalità sociale aveva più spazio per prosperare, e meno ne aveva l’eugenetica. Il programma californiano, al contrario, diventò un modo di far rientrare l’eugenetica dalla finestra.

L’esame dell’embrione umano è diventato possibile a partire dalla fecondazione in vitro. Inizialmente era compiuto «scrutando» gli embrioni e decidendo quali erano coerenti con il concetto di normalità del biologo. La diagnosi genetica preimpianto compie un passo ulteriore, facendo una biopsia degli embrioni per una diagnosi genetica. Tale pratica è stata vista con disagio in Europa, e in particolare in Germania, dove la lezione dell’eugenetica è stata imparata a caro prezzo. Nel Regno Unito è regolamentata in modo da essere possibile soltanto quando gli aspiranti genitori sono a rischio di avere un figlio con disabilità grave; al cuore del problema sta la decisione di cosa costituisca tali disabilità. La Pgd è in grado di diagnosticare molte malattie genetiche causate da un singolo gene, tuttavia, in casi come quello della fibrosi cistica, molte di esse possono essere modificate e gestite, ma non «curate». In questo modo, il successo dell’introduzione delle statine e di uno stile di vita sano ha provocato una riduzione sostanziale sia dell’incidenza delle malattie sia dei tassi di mortalità per patologie lipidemiche come l’ipercolesterolemia. Se in queste situazioni relativamente gestibili si ricorresse alla Pgd, bisognerebbe consentire a questi embrioni imperfetti con aspettative di vita ridotte di sopravvivere, oppure dovrebbero essere soppressi? La Pgd sta aiutando a promuovere l’idea secondo cui ogni genitore dovrebbe avere «diritto» a un figlio perfetto? Nonostante il Regno Unito dichiari di aver regolato bene questi aspetti, sembra che si stia offrendo ben poca protezione nei confronti della eugenetica consumistica. Concedere a una coppia a rischio di avere un figlio con il labbro leporino il permesso di usare la Pgd, quando per risolvere il problema è possibile intervenire chirurgicamente, sembra proprio eccessivo.
Con la diagnosi genetica preimpianto sono emersi nuovi dilemmi etici: la possibilità di bambini «su misura» e bambini fatti nascere per curare fratelli malati (i saviour siblings, letteralmente «fratelli salvatori»).

Nel primo caso, la selezione non è fatta per contrastare qualche patologia genetica gravemente invalidante, ma per evidenziare alcune caratteristiche desiderate: il sesso, il colore dei capelli e degli occhi e, si pensa, anche la bellezza o l’intelligenza. Se questa possibilità è ancora nel campo della fantasia, i saviour siblings sono già tra noi. Si tratta di bambini nati dopo una Pgd e una selezione degli embrioni che assicurino che i tessuti combacino con quelli di fratelli più vecchi che soffrono di qualche patologia genetica grave.

Il mercato dell’etica

I dibattiti bioetici in seno all’Unesco e in altri contesti «alti» avevano anticipato la possibilità di tali sviluppi tecnologici e li avevano rifiutati come eticamente rivoltanti in quanto trasformano il bambino selezionato geneticamente in un semplice strumento, abusando del suo diritto all’integrità corporea perché non c’è alcun modo di ottenere il suo consenso informato o di chiedergli se davvero vuole donare i propri tessuti. Questioni di tale genere sollevate dalla bioetica, tuttavia, spesso si sciolgono come neve al sole di fronte a una tragedia familiare che si consuma sui mezzi di comunicazione.
La storia che per prima conquistò le prime pagine dei giornali, nel 2000, fu quella della famiglia americana dei Nash. La loro saga è servita come termometro delle odierne preoccupazioni in relazione ai test genetici e all’eugenetica: quella coppia di genitori benestanti ha aperto le porte alla mercificazione dei bambini e all’eugenetica di una società dei consumi, o rappresenta un’espressione di amore genitoriale che si arrabatta in questa nostra società biotecnologicamente avanzata, facendo tutto ciò che è umanamente possibile? Per Molly Nash, una bambina di sei anni che soffriva della mortale anemia di Fanconi, la migliore chance di sopravvivere era una trasfusione di sangue del cordone ombelicale da un fratello sano. Il secondo figlio dei Nash, Adam, fu scelto tramite la Pgd come non affetto dalla patologia genetica di Molly e in grado di essere una risorsa salvavita per la sorellina. All’orrore per un bambino messo al mondo come donatore obbligatorio per salvare la vita di un altro già in vita faceva da contrappeso il fatto che questo era l’unico modo in cui il figlio già in vita poteva essere salvato, che gli esseri umani hanno figli per svariate ragioni complicate e che, poiché i Nash volevano più di un figlio, un bambino nato come risultato di queste procedure sarebbe comunque stato amato.

Al caso dei Nash ne seguì subito un altro analogo, questa volta nel Regno Unito. Raj e Shahana Hashmi, il cui figlio soffriva di beta-talassemia major, lanciarono una campagna perché fosse loro concesso il permesso di usare la Pgd per selezionare un embrione sano il cui sangue del cordone ombelicale potesse essere usato come era stato fatto dai Nash. Dal momento che la talassemia è trasmessa geneticamente, alcuni erano turbati dal fatto che gli Hashmi non avessero controllato il proprio status di portatori (cosa che avrebbe potuto assicurare che il loro primo figlio non soffrisse della malattia) ma ancora una volta i media misero l’accento sulla coppia felice, bella e comunicativa con il loro bambino molto malato, e la Hfea si trovò costretta a concedere il permesso.

Turismo riproduttivo

La difficoltà di mettere paletti alla selezione di bambini nati per curare i fratelli malati – o, con un’immagine più cruda, per far crescere delle parti di ricambio – è stata dimostrata al meglio nel caso Whitaker. Dato che in questo caso la mutazione che metteva in pericolo la vita del bambino non era trasmessa geneticamente, l’Authority negò il consenso. Nell’epoca del turismo riproduttivo, i Whitaker volarono negli Stati Uniti, dove una legislazione meno restrittiva consentì sia la Pgd sia la fecondazione in vitro. Il fatto che un simile «turismo» sia possibile, però, non significa che gli Stati dovrebbero smettere di provare a darsi delle regole invece di obbedire ciecamente alla logica del mercato, lasciando che tutto ciò che può accadere accada, in risposta al cosiddetto imperativo tecnologico. Sono ben pochi gli avvocati che pensano davvero che l’illegalità dell’omicidio e le punizioni per gli assassini azzerino il numero degli omicidi; sono tuttavia convinti che limitino l’abitudine di usarlo come strategia per la soluzione dei conflitti.

Nel suo romanzo Non lasciarmi, vincitore di molti premi e pubblicato soltanto tre anni dopo la vicenda degli Hashmi, Kazuo Ishiguro trasforma le questioni etiche sollevate dalla possibilità di selezionare un feto grazie alla Pgd in una storia da incubo in cui i bambini sono clonati per fornire parti di ricambio per altri. Questi bambini «di ricambio» sanno che a un certo punto saranno chiamati a diventare donatori per fornire organi sostitutivi ad altri, più umani. La loro socializzazione è interamente diretta a farli accettare questo futuro, e l’unico conforto è l’affetto che provano gli uni per gli altri. La distopia di Ishiguro sul fatto di allevare bambini «di ricambio», insieme a quelle di Margaret Atwood nel Racconto dell’ancella e in L’ultimo degli uomini, ci avvertono di un futuro eugenetico distopico che sarebbe un errore sottovalutare.