Da quando sono state introdotte le disposizioni che impongono – causa coronavirus – di limitare al massimo le uscite da casa, non passa giorno che non si annuncino nuove iniziative culturali rivolte a chi (tutti noi o quasi, in effetti) si è ritrovato costretto da un momento all’altro a ridurre il proprio orizzonte a pochi metri quadri.
Centinaia di musei grandi e piccoli in tutto il mondo aprono le loro porte virtuali. Teatri e sale da concerto offrono – ovviamente in rete – il meglio della loro produzione. I sempre più numerosi canali in streaming propongono, nel loro complesso, un catalogo di film e di serie tv talmente lungo che non basterebbe un secolo di quarantena per esaurirlo.

E POI, NATURALMENTE, ci sono i libri. Anzi, a giudicare dalle campagne di promozione avviate dalle case editrici fin dai primi giorni del «distanziamento sociale», sembra che la forzata clausura possa riuscire là dove decenni di consigli, ammonimenti e rimbrotti non hanno avuto successo: far leggere gli italiani. O per lo meno far leggere una percentuale di italiani superiore al magro 40,6 per cento che nel 2018 ha dichiarato di avere letto nell’anno precedente almeno un libro non per obbligo (lavoro o studio), ma per piacere.
Sarà vero? Se da una parte è innegabile che molti grandi lettori hanno scoperto la loro passione per i libri in un periodo di forzata immobilità, non è rischioso associare lettura e quarantena, avvalorando implicitamente l’idea che si legge solo quando non si può proprio fare altro? E in generale, la grande offerta culturale che ci arriva in questi giorni dal computer o dal telefonino avrà effetti duraturi sulle pigre abitudini del paese?
Non risponde a queste domande, ma virtuosamente ne accende tante altre, un piccolo libro, La cultura orizzontale (pp. 186, euro 14) uscito da Laterza poco prima dell’esplosione della pandemia.

AVVALENDOSI di una quantità imponente di dati, i due autori, Giovanni Solimine e Giorgio Zanchini, provano ad analizzare cosa è oggi la lettura, e in generale come si stanno evolvendo le pratiche culturali, dal cinema alla musica, al teatro, in un mondo dove – scrivono – «la rete è diventata l’infrastruttura su cui poggia tutto ciò che facciamo» e Internet (o più precisamente lo smartphone, la connessione in mobilità) ha trasformato radicalmente il nostro rapporto con lo spazio e con il tempo. Una trasformazione cui nessuno può dirsi estraneo, ma che ha un impatto particolarmente forte sulle ultime generazioni, quelle che non hanno esperienza diretta del mondo com’era «prima».

IN QUEL TEMPO che appare remoto ma che dista da noi appena una trentina d’anni «la crescita culturale consisteva in una progressiva conquista degli strumenti critici attraverso cui impadronirsi di contenuti articolati e complessi». O, per dirla con Zygmunt Bauman, per cultura si intendeva allora «una missione di proselitismo progettata e intrapresa nella forma di tentativi di educare le masse». Cosa ne è oggi di questo sistema di trasmissione verticale, che aveva nella scuola il suo principale caposaldo e insieme alla scuola l’editoria, i giornali, le biblioteche? Queste strutture esistono ancora, ma – notano Solimine e Zanchini – «la possibilità di un accesso immediato e diretto ha messo in discussione il metodo con il quale si è trasmessa la conoscenza per secoli, e cioè in modo organizzato e mediato dall’autorevolezza, ovvero dalla competenza».
La circolazione orizzontale del sapere non è, in realtà, una novità del nostro presente: dalle fiabe tradizionali alle ricette di cucina, fino alle leggende metropolitane antenate delle attuali fake news, troviamo nella storia passata una quantità di esempi che rivelano una vorticosa circolazione di quelle che potremmo definire come «informazioni culturali» al di fuori dell’asse verticale maestro-allievo – conoscenze tuttavia condannate alla marginalità, se non altro perché diffuse oralmente. Oggi non più: non solo la rete raggiunge un numero altissimo di persone (già in apertura di volume Solimine e Zanchini avvertono che nel 2019 gli utenti di Internet, a livello globale, erano 4,39 miliardi, ben più di un essere umano su due), ma ingloba la scrittura – fino a pochi decenni fa frequentata in modo abituale da pochi, oggi pratica quotidiana di tutti –, la visualità, la musica

LA CULTURA ORIZZONTALE contemporanea ha quindi, per quantità e per qualità, una forza d’urto inaudita, «è un magma nel quale si indeboliscono definizioni e ordini tradizionali, si fatica a riconoscere un’organizzazione piramidale, e non è casuale che percentuali minime di fruitori siano disposte a pagare per accedere all’informazione». E tuttavia gli autori del libro, pur infilando una quantità di cifre che avvalorano la portata della trasformazione in corso, non mancano di metterne in evidenza le ambiguità e le debolezze: che ruolo occupano gli algoritmi in quest’epoca apparentemente «disintermediata»? possiamo davvero parlare di un accesso aperto quando l’universo che ci restituiscono i social rispecchia solo la nostra esperienza? in quali modi la granularità del sapere d’oggi – una immagine già evocata da Gino Roncaglia nel suo L’età della frammentazione – può condurre a una «cultura della complessità» all’altezza del mondo, appunto complesso, in cui viviamo?
Sono domande alle quali Solimine e Zanchini non rispondono, né potrebbero, in una fase di passaggio qual è la nostra. Alla luce della loro ricognizione, scelgono però di chiudere il libro con un’affermazione estremamente decisa: «La cultura orizzontale non può fare a meno della cultura verticale» – e dunque, si potrebbe aggiungere, di una scuola che non rinuncia al proprio ruolo di luogo educativo primario, di media capaci di sfruttare le potenzialità della rete senza farsene schiacciare.

UNA RIPROVA viene proprio dai giorni difficili che stiamo attraversando: secondo una ricerca recentissima su «Coronavirus e fiducia» condotta dal Cnr, oltre il 90 per cento degli italiani ritiene affidabili le comunicazioni degli scienziati riguardo alla pandemia in corso e una percentuale quasi altrettanto alta (89,6 per cento) si dichiara convinto dell’attendibilità dei «siti Internet ufficiali» (mentre, va detto, è bassa – il 41,6 per cento – la fiducia nei media tradizionali: tv, radio, giornali). In un momento di crisi acuta è insomma emersa la necessità di attingere a informazioni veritiere e provate, così com’è probabile che si rinsaldi la fiducia nel sempre vituperato sistema scolastico, proprio quando, in questa situazione di emergenza, la scuola si trova a dover mettere in atto ogni possibile risorsa per non interrompere la didattica.
Non è un lieto fine, ci mancherebbe altro. Ma forse la pandemia dimostra con una efficacia di cui avremmo fatto volentieri a meno che il tempo della «cultura verticale» non è finito, che una collaborazione con la «cultura orizzontale» è possibile, e anzi necessaria. E se chiuso in casa, qualche italiano scoprirà in sé la passione per la lettura, tanto meglio.