Lo spettro di una scrittrice visionaria si è aggirato nei meandri della cultura dei nostri anni. Un film, anzitutto, uno di quei pochi film con al centro la vita, più che le parole, di una scrittrice: quando questo accade il film è buono, altrimenti si sfonda la parete della retorica. Gli scrittori e i poeti sono gli ultimi mendicanti del nostro mondo, anche se cercano di costruire torri d’avorio entro le quali proteggersi e alla bisogna nascondersi, hanno bisogno della benevolenza di chiunque.

Certo, probabilmente non coloro che occupano le pagine dei quotidiani e abitano studi televisivi più che le pagine di paesaggi scritti, ma di loro noi poco ci interesseremo. Un angelo alla mia tavola è il titolo col quale è stata data alle stampe l’autobiografia che narra l’epopea della vita terrena della neozelandese Janet Frame (1924-2004), trasposto su pellicola dalla conterranea Jane Campion nel 1990, ancora in attesa del grande successo che le sarà tributato grazie a Lezioni di piano. Il film ha raccolto premi, applausi e da allora continua a toccare il cuore e l’immaginazione di nuove generazioni di poeti e autori in tutto il mondo.
In molti paesi si è aperta la corsa alla pubblicazione delle opere in prosa di questa curiosa e introversa donna, travolta dalla follia dei manicomi, subendo oltre duecento elettroshock. E fin qui siamo alla biografia che si ripete da decenni, in articoli o saggi.

Ricordo il primo romanzo che acquistai, un vecchio Guanda, Giardini profumati per i ciechi, con al centro il male che una madre cieca e una figlia muta tentano di iniettarsi, incatenate l’una all’altra in un romanzo che assomiglia ad una piéce teatrale, e infatti negli stessi anni avevo in lettura il dramma I danzatori della pioggia dell’australiana Karin Mainwaring, ambientato nell’outback, il vasto deserto interno dove abitano i reietti e i solitari, l’extra-moenia australe. Avevo cercato invano le poesie della Frame, tradotte in italiano, per fortuna ora la lacuna è stata colmata dalla selezione di 53 liriche Parleranno le tempeste, titolo di una poesia tratta dalla seconda e postuma raccolta, The Goose Bath (2006).

La selezione, curata da due giovani studiose e traduttrici, Francesca Benocci e Eleonora Bello, è pubblicata da Gabriele Capelli Editore di Mendrisio. «Le persone, scaldate fino alla fragilità / e immerse in acqua fredda, si spaccano», si legge in apertura dalla poesia Un proposito: potrebbe valere per l’intera opera di questa donna che si faceva compagnia coi romanzi delle grandi autrici britanniche, un filo rosso che spunta dalla spina dorsale di qualsiasi persona, basta trovarlo e tirarlo per disfare le tante sicurezze che ci abituiamo a indossare. «Dire, disporre e mettere a posto» si legge nella Poesia della vista, un precetto, poiché questa selezione di poesie mostra un animo che indaga, raccoglie e rassetta. Case, interni, dèi, amici, matrimoni, suicidi, viaggi, e i paesaggi che continuano a generare inchiostro: «Parleranno le tempeste; di loro puoi fidarti. / Sulla sabbia il vento e la marea scrivono / bollettini di sconfitta Conchiglia: come la mia vita salpò su un’oscura marea». A natale regalate poesie.