La Lettonia studia da «paese modello» in Europa. Il rigore e la dedizione nella cultura baltica sono elementi quasi imprescindibili. Così, anche se – dopo più di venti giorni dall’adozione della moneta unica – lo scetticismo generale nei confronti del nuovo conio è rimasto intatto, non ci si perde in chiacchiere e si va avanti nel superamento della crisi, che aveva iniziato a picchiar duro nel 2009 ed è tuttora in corso anche se non fa più così paura.

In realtà, tutto parte dall’opera di risanamento di Valdis Dombrovskis, giovane (ex) primo ministro (classe ’71) della repubblica che conta circa due milioni di abitanti, dimessosi a fine novembre dopo il crollo del tetto di un supermercato a Riga, che ha provocato la morte di 54 persone: «Una tragedia troppo grande – ha detto – di cui voglio assumermi le responsabilità. Le mie dimissioni devono servire, inoltre, al paese, a trovare una maggioranza più stabile». Scelte non del tutto comprese dalla popolazione lettone, che ha sempre avuto stima di Dombrovskis e che avrebbe preferito continuare ad averlo al proprio fianco. Nato a Riga da genitori polacchi e laureto in fisica matematica, Dombrovskis fu eletto nel marzo 2009 da leader del partito europeista di Nuova Era, successivamente rinominato Unità.

Giovane, come gran parte della classe dirigente del paese che può contare su tanti ragazzi dalla preparazione accademica irreprensibile, maturata nei paesi scandinavi o nel Regno Unito. Laureati che poi tornano per assumere con entusiasmo incarichi lavorativi di prestigio e ben remunerati, coerenti con quella mentalità baltica che strizza l’occhio agli stati del nord.

Su Dombrovskis si è detto e scritto molto, anche un libro (in cui il premier si è avvalso della collaborazione dell’economista svedese di fama mondiale Anders Åslund) intitolato «Come la Lettonia è uscita dalla crisi», contenente un’appendice, a fine testo, in cui si elencano «Le nove cose che la Lettonia può insegnare al mondo». Il punto tre è, forse, il più onesto e interessante, quando afferma: «Le discussioni tra gli esperti: più rumore che benefici». Questo significa un paio di cose: che non tutto è rose e fiori e che il non perdersi nelle solite elucubrazioni è già un primo, importante punto di partenza.

E’ chiaro che i lettoni abbiano affrontato (e lo stanno tuttora facendo) sacrifici economici enormi: il taglio generale degli stipendi, con una media del 14,3% è stato difficile da sopportare per un paese in cui il salario medio di un operaio è di 700 euro. Inoltre, l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni e il blocco delle indicizzazioni (comunque ripartite dal 1° gennaio) ha portato certe famiglie ad arrancare, considerando che molti vitalizi non superano i 300 euro mensili. Di doloroso, da segnalare, anche i tagli ad alcuni servizi importanti come la sanità (che resta comunque di ottimo livello) e il forte rincaro della bolletta del gas proveniente dalla Russia da cui il paese fa tuttora fatica a staccarsi del tutto: e il riscaldamento, da queste parti, è una voce molto importante.

Ad ogni buon conto, l’ostinazione all’osservanza della regola numero uno («Non è necessaria la svalutazione della propria moneta») ha portato ad «ampie schiarite» de facto. Tra i dati che lo confermano, quello delle esportazioni, in cui il legname va per la maggiore: nei primi sei mesi del 2012, con il suo +14%, è stato il paese europeo con il più alto incremento di prodotti venduti al di fuori dei propri confini. E le importazioni? Anche quelle, nello stesso periodo, impennate al +13%: segno di un’economia in perenne movimento, non ancora totalmente in salute sempre per via della crisi ma, se non altro, sotto l’effetto di forti e rassicuranti antibiotici. Cifre che possono essere in qualche modo collegate al punto numero cinque: «Aiutare il settore finanziario, in qualsiasi modo e momento».

Tanto vale, a questo punto, citare i restanti cinque ingredienti di questa ricetta miracolosa: «L’euro zona è una forte motivazione; meglio tagliare le spese che aumentare le tasse, tagliare le spese statali ma senza fare troppo rumore; un governo adeguato è la cosa più importante per la stabilità; il populismo non funziona».

Ma, tutti questi virtuosismi, la Lettonia li ha centrati con il caro e amato lat, la moneta che nel 1993 sostituì il rublo sovietico, ed ecco spiegato l’euroscetticismo di cui sopra. Secondo un’indagine dell’istituto SKS, solo il 22% della popolazione crede che la moneta unica possa portare vantaggi al paese. Il 50% è fermamente contrario mentre il restante 28% non è ancora riuscito a farsi un’idea. E il rovescio della medaglia c’è, a ben vedere: le code alle banche, in questo mese di gennaio, sono state massicce. Sono in tanti a non sapere ancora come muoversi con la nuova moneta. Ci si prova, ma non sempre ci si riesce: non tutti riescono ad afferrare l’esatto valore del cambio euro/lat.

Addirittura, molte piccole botteghe hanno temporaneamente abbassato la saracinesca fino allo scorso 15 gennaio, giorno in cui i lat sono stati definitivamente ritirati. Due sole settimane per abituarsi alla moneta unica (in Italia, due furono i mesi): qui si ritorna al famoso punto tre «Dolorosamente ma velocemente». E tutto questo nel nome della concretezza, per evitare inutili confusioni di valuta da parte dei clienti. Voglia di occidente ma non troppo, è ciò che si estrapola dai concetti dei lettoni comuni: «Dombrovskis ha fatto un ottimo lavoro nel tentativo di tirarci fuori dalla crisi di qualche anno fa – spiega Dainis Gzibovskis, blogger e web editor di 23 anni – Secondo molti si è trattato del miglior primo ministro della nostra giovane storia per la competenza professionale. Tuttavia, alla maggior parte della popolazione non sta bene il passaggio alla moneta unica. E’ stato frustrante accettarlo senza referendum ma solo perché obbligati dagli accordi presi in passato con l’Unione Europea. Inoltre, i messaggi che ci arrivano dal resto del continente sono tutt’altro che incoraggianti e noi, specie in quest’ultimo periodo, ci stavamo comportando così bene: amavamo e amiamo tuttora la nostra moneta, il lat. E’ quella che, dopo l’indipendenza nazionale, ci ha accompagnati nell’età del benessere. In quei tempi la Scandinavia era un modello da seguire: gli standard di vita non erano gli stessi ma, certo, non potevamo lamentarci».

Poi, la crisi di cinque anni fa: «Qui non esiste gente che non abbia fatto sacrifici ma non ce ne lamentiamo più di tanto – prosegue Dainis – In più, le persone anziane hanno paura di essere raggirate con la nuova moneta e anche gli imprenditori sono in confusione. La mia convinzione e, in generale, quella dei lettoni, è che con l’Euro, superato questo primo momento, riusciremo a migliorare ulteriormente i nostri standard di vita».

Lo studente ventiquattrenne Armands Lodzinš-Leimanis fa parte, invece, di quel 22% di lettoni che accoglie a braccia aperte l’euro, parlandone come «un’importante opportunità di slancio per tutto il paese, che permetterà alla gente di spendere e investire di più. Un fatto importante, che ci farà uscire definitivamente dalla crisi. I malumori di questi giorni presto verranno accantonati: quello lettone è un popolo fondamentalmente emotivo tanto che un gioco di parole recita Latvijas-Latinš». Nessuna paura, quindi? «Assolutamente no, il peggio ormai è passato: vero, abbiamo attraversato momenti davvero bui, ma il clima ormai è cambiato – conclude Armands – Ad esempio, io e la mia famiglia, nonni compresi, ci teniamo costantemente informati su questa nuova evoluzione della nostra economia e a come affrontarla. E così so che sta facendo tanta altra gente: sicuramente, come vuole la nostra mentalità, nessuno vuol farsi trovare impreparato. La Lettonia ha vinto tante sfide, ce la farà anche in questa circostanza».