A scuola, @LaPresse
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Innumerevoli sigle sindacali, diverse tipologie di contratti, storie e provenienze differenti, tutto questo contribuisce all’identità frammentata della classe dei docenti. Per chi è del mestiere può sembrare che tale identità molteplice sia una qualità. Lo è effettivamente nelle aule e nel rapporto con gli studenti, non lo è più quando questo significa perdere lo spirito di gruppo e la solidarietà tra lavoratori. Non vuole essere una critica: tuttavia l’individualismo che ci ha sedotto dagli anni ’80 in poi ora sta portando i suoi frutti disastrosi, come anche l’aver dimenticato per molto tempo i precari.

La situazione pandemica sta rivelando una mancanza di strategia sul tema dell’istruzione e del precariato nella scuola che verrà pagata da tutta la società e già ne abbiamo prima prova con le GPS (graduatorie provinciali per le supplenze) che non hanno garantito la copertura delle cattedre e il regolare avviamento dell’anno scolastico, indipendentemente dall’ulteriore criticità generata dall’emergenza Covid-19.

Qualcuno può pensare che i docenti siano in cattedra, ma è da capire a quali condizioni. Spesso tali docenti sono supplenti con contratti rinnovati di 10 giorni in 10 giorni, in attesa di essere confermati o sostituiti dalle fantomatiche nomine dalle GPS, per le quali gli stessi istituti scolastici non hanno tempi certi.

Con quale prospettiva potrà dedicarsi ai suoi alunni un lavoratore della conoscenza usa e getta, uno stagionale nel campo della coltivazione delle menti?

C’è anche da dire che le GPS riportano molti errori, alcuni dei quali certamente dovuti all’errata compilazione, in fase di domanda, del form web con i titoli culturali. Fatto sta che candidati giovanissimi e senza un solo giorno di insegnamento si sono ritrovati ai vertici delle graduatorie, surclassando precari con anni di servizio e di esperienza alle spalle.

È possibile che nel dichiarare i titoli in un semplice form web abbiano percepito come virtuale quella che in realtà è una dichiarazione legale con un concretissimo impatto reale. Anche questo è un segno dei tempi.

Se si ha poca consapevolezza dei docenti precari che lavorano nella scuola, ancora meno se ne ha del prossimo concorso a loro destinato.

In una recente intervista è stato evidenziato come l’ostinazione nell’organizzare a ottobre il concorso straordinario per il ruolo metterà in ulteriore difficoltà le scuole. Infatti le priverà proprio di quei docenti precari che stavano tappando le falle della didattica. A questo il Ministro ha risposto dicendo che si tratta di una prova di soli 150 minuti, come se si trattasse di sbrigare una breve pratica sotto casa. La realtà, invece, è che molti candidati dovranno spostarsi da una regione all’altra e che, anche all’interno di una stessa regione, per fare un esempio, sarà necessario spostarsi da Roma verso località “ottimamente” collegate come Acquapendente (2 ore in macchina, 8 ore con i mezzi pubblici).

Risulta, inoltre, antidemocratico il fatto che tutti i docenti che si troveranno in “permanenza domiciliare fiduciaria” (dunque non malati e non positivi al Covid-19) saranno esclusi definitivamente dal concorso. Ironia della sorte vengono esclusi e penalizzati proprio coloro che si trovano isolati a casa per la propria disponibilità nei confronti dello Stato, perché impegnati in precedenza a prestare servizio in aula con gli studenti anche con contratti di soli 10 giorni.

Infine il Ministro afferma che questo prossimo concorso non è per i precari storici, perché a suo giudizio questi sono tutti nelle GAE (graduatorie ad esaurimento), ignorando il fatto che tutti i partecipanti al concorso hanno un minimo di tre anni di insegnamento alle spalle e molti di loro anche più di cinque. In Europa per essere assunti ne bastano tre, come richiesto dalla Commissione Europea all’Italia.

Cos’è dunque questo precario? Un essere mansueto che se incrocia le braccia alla fine non mangia? Forse un professionista che deve ringraziare per ogni giorno che gli viene concesso in classe con i suoi studenti.