Nel 2015 il commerciante napoletano Salvatore Castelluccio aveva detto no agli estorsori e senza esitare si era rivolto alle autorità di polizia per denunciare. Da allora vive sotto scorta. Purtroppo la «camorra» l’ha punito in modo esemplare: nel suo locale, non entra più nessuno.

Pochi giorni fa, ha deciso di abbassare la saracinesca per sempre. La camorra ha ordinato al quartiere di non andare più da lui. Questa è la fine che fa chi ha il coraggio di denunciare!

Per completezza d’informazione, va detto che poco più di un mese fa anche il salumiere Ciro Scarciello ha chiuso i battenti dopo molti anni di attività alla Maddalena, zona a ridosso della Stazione Centrale di Napoli. Lui in tv aveva denunciato la situazione nel quartiere all’indomani di una sparatoria in cui rimase ferita una bambina di dieci anni.

Coraggio che non è piaciuto alla malavita napoletana che gli ha riservato intimidazioni e minacce, fino a costringerlo alla chiusura del locale adottando le stesse metodiche mafiose riservate a Castelluccio.

Io non conosco nei dettagli le situazioni, pertanto, non mi sento di esprimere un giudizio di merito, ma mi sento, invece, di fare alcune riflessioni e pormi alcuni interrogativi.

La testimonianza contro le mafie oggi è considerata un valore civico? In una democrazia «vera» e in uno Stato civile ed evoluto, testimoniare è un normale atto civile? In Italia, purtroppo, sempre più spesso non è così e le conseguenze ricadono su chi l’ha compiuto e spesso anche sulla sua famiglia. Sono convinto che lo Stato debba proteggere i testimoni attraverso leggi appropriate, combattendo concretamente quella mentalità che porta l’individuo a vedere solo il proprio benessere.

E’ bene comprendere che in simili situazioni siamo di fronte ad imprenditori che hanno denunciato i loro estorsori ma anche semplici cittadini che hanno deposto contro i clan mafiosi in un’aula di giustizia.

Dopo oltre venticinque anni che mi occupo di strategie di lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata sono fermamente convinto che lo Stato (non solo l’apparato burocratico ma anche i singoli cittadini) debba, senza esitazioni, tutelare questi coraggiosi atti di legalità. Inutile insegnare ai ragazzi l’antimafia se poi in queste occasioni lo Stato si gira dall’altra parte.

«Testimoniare» contro un clan mafioso significa spesso dire addio a un’esistenza dignitosa: niente più lavoro, niente più rapporti con i familiari, niente più contatti con la terra d’origine.

Borsellino diceva in merito: «Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola». Per non avere paura, tuttavia, occorre che lo Stato faccia la sua parte e agisca concretamente e presto.

Occorre sapere che in queste circostanze le mafie ormai non hanno più necessità di uccidere, basta semplicemente annientare (con ogni mezzo) chi si è schierato dalla parte della legalità.

Purtroppo a oggi resta la solitudine la condizione di vita più diffusa tra chi denuncia la malavita.

La paura, invece, è lo stato d’animo più ricorrente. In uno Stato di diritto e in una democrazia questo non può e non deve accadere e i cittadini, in primis, devono ribellarsi a questo stato di cose.

Queste battaglie per la legalità si possono vincere solo se la comunità volterà un giorno le spalle alla criminalità organizzata fidandosi di uno Stato che le dimostrerà senza ombra di dubbio da che parte sta!

Vincenzo Musacchio è Presidente dell’Osservatorio Regionale Antimafia del Molise