L’8 maggio scorso la Cassazione ha confermato la condanna a 2 anni e 6 mesi a Mario Miliucci per la manifestazione del 14 dicembre 2010 a Roma.

È stata una sentenza preordinata, non ho paura a definirla vendicativa e sproporzionata.

Com’era purtroppo prevedibile, la Sesta Corte Penale della Cassazione ha confermato la «ragion di stato». E nonostante la limpidezza del ricorso e delle arringhe della difesa che hanno evidenziato:

  1. l’errore giudiziario, che vuole Mario colpevole dell’accusa «di aver scagliato sampietrini e dato fuoco a un blindato Ps», nonostante il vicequestore Giordano lo scagioni in aula «non riconoscendo in lui l’autore»: del resto Mario era stato fermato (e pestato a sangue) da solo e lontano da piazza del Popolo, epicentro degli scontri;
  2. l’arbitrio della Corte di 1° grado, che non aveva assolto Mario da quella primaria accusa, contestandogliene un’altra a fronte di un video della Ps prodotto in udienza e a cui è stata negata alla difesa la perizia: la procedura prevede infatti che la Corte, avuta notizia di altro presunto reato lo rimetta alla Procura tramite il Pm di udienza, che deciderà o meno di formulare l’ipotesi di reato per il successivo rinvio a giudizio;
  3. la negazione delle attenuanti che avrebbero consentito a Mario la condizionale: quelle generiche di «aver preso parte ad eventi con la folla in tumulto» e di più, che Mario è incensurato.

Abusi di procedura e contenuto insanabili, su cui la Cassazione avrebbe dovuto intervenire «cassando» le sentenze e rinviando a nuovo giudizio Mario. Invece se n’è lavata le mani mantenendo questo che consideriamo un obbrobrio giudiziario.

Forse perché si tratta di un figlio del popolo, di un ribelle, e non di uno della casta?

Di questo procedere, di siffatte ingiustizie, è lungo l’elenco che connota la complicità del potere giudiziario con gli altri poteri, che dispongono in continuità la prepotenza dello stato che si avvale di leggi liberticide ai danni della legittima protesta sociale: leggi e sentenze di cui l’Italia è pluricondannata dalle Corti di Giustizia europea e internazionale.

Ora per Mario si aprono le porte del carcere.

Ovvero, le leggi vigenti (compresa l’ultima in corso di approvazione) prevedono le «misure alternative» al carcere per la tipologia di condanna subita da Mario: ci adopereremo per renderle realizzabili, allertandovi laddove non vengano applicate per Mario, sconfiggendo ulteriori discriminazioni nei suoi confronti.

Intanto vi ringrazio per i numerosi attestati di vicinanza e solidarietà che sono arrivati a Mario (e ai suoi genitori).