Caro Direttore,
l’articolo comparso sul «manifesto» del 14 marzo scorso, relativo al problema del rilascio dei visti nella Striscia di Gaza, che si apre con l’affermazione che i Paesi dell’Ue contribuirebbero alle situazione già estremamente difficile della popolazione, non riflette come stanno effettivamente le cose.
Alla Striscia di Gaza questo Consolato Generale, come gli altri partner europei, dedicano una attenzione prioritaria attraverso attività di cooperazione e programmi umanitari. L’ultimo intervento d’emergenza è stato effettuato qualche settimana fa, concorrendo ad un progetto del WFP per alleviare gli effetti della tempesta Alexa. Numerose sono anche le visite dall’Italia che organizziamo all’interno della Striscia per innalzare il livello di consapevolezza riguardo alla criticità della situazione.

L’introduzione del sistema biometrico nei Territori Palestinesi ha comportato la necessità di risolvere una serie di problematiche diverse, stante la molteplicità delle realtà su cui operiamo. A Gerusalemme è possibile effettuare la raccolta presso i nostri uffici. A Ramallah abbiamo aperto un ufficio per venire incontro alle richieste di coloro che non possono oltrepassare i check-point. A Gaza si è deciso di provvedere con l’invio di un funzionario itinerante, equipaggiato di un computer portatile ad hoc (che ci siamo praticamente andati a prendere a Roma), addetto alla raccolta dei dati biometrici, ciò che avviene regolarmente ogni qual volta riceviamo una domanda di visto. Si tratta di un intervento dispendioso in termini di mezzi e risorse, che tuttavia svolgiamo prioritariamente proprio perché l’obiettivo è quello di non lasciare neanche una sola richiesta proveniente da Gaza inevasa, ritenendo che questo sia il modo più idoneo per esprimere solidarietà ad una popolazione che patisce ogni giorno conseguenze di una situazione nella quale non ha possibilità di scelta.

Sempre a Gaza, stiamo cercando di realizzare un sistema di raccolta permanente, attraverso un’idonea apparecchiatura, ma incontriamo difficoltà tecniche nell’assicurare la protezione informatica dei dati a causa delle frequenti interruzioni di energia elettrica.

Degli altri partner europei, la Francia può avvalersi di un proprio Centro Culturale; la Spagna ha installato un’apparecchiatura fissa ma applica procedure diverse, che non richiedono gli stessi standard di sicurezza delle nostre; la Germania fa come noi; belgi, danesi e norvegesi si recano con un portatile presso un Centro Comune, cui noi non abbiamo potuto aderire perché costava troppo; altri Paesi, infine, mandano al momento i richiedenti presso le ambasciate all’Ambasciata al Cairo.

In poche parole, non vi è nessuno a Gaza la cui domanda di visto non possa essere e non venga soddisfatta da parte di questo Consolato Generale sempre che, naturalmente, ne sussistano i requisiti di legge.
Con i saluti più cordiali,

Davide La Cecilia, Console Generale d’Italia a Gerusalemme

 

In merito all’articolo apparso sul nostro giornale riguardante le nuove procedure per la richiesta di visti di ingresso in Europa dai Territori Occupati, abbiamo operato a seguito della segnalazione di alcuni palestinesi residenti nella Striscia, dallo scorso novembre impossibilitati a fare domanda di ingresso in Italia.
Come spiegato nell’articolo, siamo a conoscenza – come ci è stato riportato anche dagli uffici della diplomazia italiana nel Paese – del fatto che il Consolato Italiano di Gerusalemme sta lavorando alla soluzione dei problemi tecnici che impediscono ad oggi le normali procedure.

Chiara Cruciati