Come si dice ‘forza Juve’ in arabo? E  ‘forza Lazio’? E’ importante saperlo, perché saranno questi i cori che risuoneranno al King Saud University Stadium a Riyad, capitale dell’Arabia Saudita, quando si giocherà la finale di Supercoppa italiana 2019 tra Juventus e Lazio, domenica prossima 22 dicembre, trasmessa in diretta su Rai1, h.17.45.

E la Juve ha addirittura fatto scrivere in arabo i nomi dei giocatori sulla maglia. Un gesto di rispetto verso gli ospitanti? Forse, più semplicemente, un modo per ringraziare di un contratto che prevede in Arabia Saudita 3 partite in 5 anni, con un gettone di 7,5 milioni per ogni partita, suddiviso a metà tra le finaliste tolto il 10% in quota alla Lega. Infatti la finale 2018, Juve-Milan,  si era giocata lo scorso 16 gennaio a Gedda.

Ma perché tutto questo interesse per una partita di calcio?

Perché l’Italia vende al regime di Riyad bombe prodotte dalla RWM in Sardegna che vengono usate da anni per bombardare la popolazione dello Yemen, dove è in atto la più grave crisi umanitaria dalla Seconda guerra mondiale. Se la guerra continuerà fino a tutto il 2022 – si legge in un rapporto ONU –  il 79% della popolazione yemenita risulterà al di sotto della soglia di povertà.

Quindi? Non si dovrebbe giocare!

Così come non doveva partire da Israele il Giro d’Italia del 2018. Così come non si dovrebbe giocare la finale di Champions League 2020, il 30 maggio ad Istanbul, nella Turchia di Erdogan. La stessa Turchia che la Nazionale Italiana incontrerà a Roma nella partita di apertura degli Europei, il prossimo 12 giugno.

Sia chiaro,  non è una crociata a priori contro il calcio, che mi piace abbastanza. E poi sono originario dello stesso paese di Michel Platini, Agrate Conturbia. Mio papà era un tifoso juventino. Il problema è questo calcio, troppo legato al denaro che chiude occhi e cuore.

Gli affari sono affari! Come quel titolo del film di Alberto Sordi del 1974: Finchè c’è guerra c’è speranza. In fondo, se non si vedono in faccia le vittime, la guerra non è poi così brutta. Si sa, c’è sempre stata, e poi sarà mica una partita a fermare la guerra… e così via.

Qualche anno fa una delegazione di parlamentari e imprenditori italiani in Arabia Saudita aveva ricevuto in dono un ‘Rolex’, e ovviamente ci fu silenzio assoluto sui diritti umani.

Sì, lo dobbiamo dire con forza: siamo complici con il Regime dell’Arabia Saudita perché gli vendiamo le nostre bombe.

Secondo Rete Italiana per il Disarmo e il Comitato Riconversione RWM nel 2016 l’export di armi italiane verso Riyad era di 427 milioni di Euro. Ora è diminuito, ma è fisiologico in questo settore. Vuol dire che sono stati fatti ordinativi molto alti che devono essere evasi. Sono bombe aeree della classe MK 80 prodotte dall’azienda RWM Italia (il cui capitale è interamente posseduto dal gruppo tedesco Rheinmetall) nello stabilimento di Domunovas in Sardegna. Stabilimento che si sta ampliando.

Da anni ne parliamo.

Ne ha parlato molto il quotidiano Avvenire, con documentazione inequivocabile. Ne ho parlato più volte anch’io a Tv2000 nel programma Siamo Noi e anche al Diario di papa Francesco, nella puntata del 2 gennaio 2018 con Laura Silvia Battaglia, amica, giornalista e grande conoscitrice dello Yemen .

Mi piace immaginare che durante la partita Juve-Lazio ad un certo punto l’arbitro fischia, ferma la partita e va a controllare il VAR: e sugli schermi delle nostre case arrivano le immagini di quella trasmissione, o anche solo la foto di qualche bomba ritrovata in Yemen, lanciata dal Regime di Riyad con il numero A 4447, il codice identificativo che dice che quelle bombe sono vendute ufficialmente con l’approvazione del Governo Italiano.

In violazione alla legge 185/90 che vieta di vendere armi ai paesi in guerra o che violano i diritti umani. E ancor più mi piacerebbe che la RAI si rifiutasse di trasmettere questa partita. Non lo chiedo solo io. Siamo in tanti.

Anche da Assisi l’altro giorno si è levata la voce per non far giocare e non trasmettere la partita, con la Sindaca Stefania Proietti, con il Presidente della Pro Civitate Tonio Dell’Olio, con don Angelo Pittau, in rappresentanza dei pacifisti sardi.

E per non lasciarci vincere dalla rassegnazione ed essere ostinati artigiani di Pace,  saremo quest’anno a Cagliari, la notte del 31 dicembre, per la 52esima Marcia della Pace, con Pax Christi, Azione Cattolica, Caritas, Uff. CEI Pastorale Sociale e Diocesi di Cagliari, per riflettere sul Messaggio del Papa “La Pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica”.

E nei giorni precedenti Pax Christi organizza un convegno, il 30 e 31 dicembre, insieme alle tante voci di movimenti, associazioni e comitati che in Sardegna dicono no alla produzione di bombe e alla militarizzazione del territorio.