Nella Milano da bere, all’Expo si è lanciata la sfida del futuro promuovendo il ritorno alla terra, facendone un punto fermo per la rinascita del paese.

Ma… nelle campagne del mezzogiorno, da decenni e ancora oggi, si vivono tuttora situazioni di sfruttamento, di violenza, e di negazione dei più elementari diritti umani proprio in nome, spesso, di quella stessa agricoltura così tanto reclamizzata.

I ritmi sono massacranti e disumani, i lavoratori agricoli si alzano di mattina presto e alle sei vanno in campagna fino alle dodici. Poi hanno un’ora di tregua, è il caso di dire, per mangiare e riposare, prima di riprendere, dall’una fino alle sette di sera, specialmente in estate perché imbrunisce più tardi e c’è più luce, sempre col fiato dei caporali sul collo. Ma non è finita, perché in tempo di raccolta bisogna preparare le cassette per il mercato estero.

E allora, alla sera, dopo i campi, senza interrompere, vanno a preparare tutto nei grandi magazzini. Dalle otto di sera fino a mezzanotte.

In estate è sempre così, tutti i giorni domenica inclusa. In tutto sono 15-16 ore di lavoro, a volte anche 18.

Tutto per un compenso di mille euro, ovviamente al nero. Però il padrone, così lo chiamano i raccoglitori, non paga sempre puntuale. Chiede pazienza, già, la pazienza, ma non si lamentano, perché sanno bene che al minimo cenno di disappunto saranno licenziati.

Però così non è lavoro, è riduzione in schiavitù.

Una imprenditoria agricola che vorrebbe apparire sana, ma che in sostanza è sinonimo di criminalità organizzata. Padrone e schiavitù, sono termini che ormai tutti, o quasi, pensiamo che dovrebbero sparire dal vocabolario di una civiltà. Un esercito di lavoratori sottopagati, per la maggior parte migranti, al servizio dei cosiddetti ‘caporali’, a loro volta al soldo dei potentati terrieri.

E allora, in Puglia, nel Lazio e anche in Calabria come in tutto il sud, diventa importante portare all’attenzione di tutti e soprattutto delle istituzioni il fenomeno del “caporalato” e prendere atto di una triste realtà che esiste da tanto tempo e che distrugge la dignità e la vita stessa dell’uomo.

Le storie recenti di braccianti uccisi dalla dura e massacrante fatica mentre raccoglievano l’uva o i pomodori nei campi del meridione, sono emblematiche, ma non sono le prime, né saranno le ultime vittime del lavoro criminale.

Dalle stime Flai-Cgil viene fuori un quadro inquietante: le persone coinvolte nel lavoro agro-industriale sarebbero circa 400 mila. Tantissimi di loro vivono in condizioni di schiavismo. La maggior parte, non ha accesso ai servizi igienici e all’acqua corrente, e più della metà si ammala durante il ciclo del lavoro stagionale.

Nessuno, in alto, si assume l’onere e soprattutto l’onore, di prendere i dovuti provvedimenti, per restituire un minimo di moralità al lavoro in genere, ma soprattutto a questo tipo di lavoro, e soprattutto rispetto e dignità a questi lavoratori.