Quella che segue è la assurda cronistoria di quanto accaduto ad una particolare categoria di lavoratori che da sempre occupa un posto speciale nell’immaginario collettivo: i macchinisti delle ferrovie. Queste le premesse: agli inizi del 1900 macchinisti danno l’impulso fondamentale alla nascita dei sindacati e, dopo anni di lotte e scioperi, nel 1958 ottengono una legge (la 425) che, riconoscendo la gravosità del lavoro, la aciclicità dei turni, l’altissima professionalità , lo stress da lavoro correlato, le tante malattie professionali e la ridotta aspettativa di vita, stabilì il diritto per questa categoria di andare in pensione a 58 anni e una rivalutazione dei contributi di un anno ogni 10. Ciò diede l’impulso ai lavoratori del trasporto pubblico locale di chiedere ed ottenere anche loro un Fondo e una legge speciali che prevedevano la pensione a 60 anni per gli autisti e tranvieri, e successivamente anche i lavoratori delle cave, delle catene di montaggio, le forze dell’ordine, i pompieri ecc., ottennero le cosiddette “leggi sui lavori usuranti”.

Tra gli anni 50 e gli anni 80 però cambiarono molti parametri lavorativi per i macchinisti: ai treni a vapore si aggiunsero i treni diesel e le veloci locomotive elettriche (140-160 Km/h), si costruiscono le prime linee ad alta velocità (200km/h) e si adeguano le vecchie linee, per cui le tratte percorse giornalmente si allungano (da 100-150 Km a 200-300 Km),con l’evoluzione tecnologica aumenta esponenzialmente la professionalità, cosi come le responsabilità e lo stress. Per compensare questi appesantimenti lasciando inalterate le regole pensionistiche, negli anni 90 i macchinisti ottengono la diminuzione dell’orario lavorativo (da 11 ore a 8), la figura dell’aiuto macchinista, con minore professionalità, viene sostituita da un secondo macchinista di pari preparazione, allungamenti dei riposi tra due servizi e dei riposi settimanali, miglioramenti salariali e vari accorgimenti logistici che rendevano realizzabile quella richiesta di maggiore produttività.

Poi si avvicina il nuovo Millennio e per i macchinisti inizia l’era dei paradossi:

Con il DM 19/05/1999 sono stati definiti i lavori particolarmente usuranti nel quale i macchinisti NON SONO STATI INSERITI (si dirà… in quanto godevano di quella legge 425/58 che era specifica per i ferrovieri e molto più vantaggiosa, poi vedremo cosa succede…).

E’ utile ricordare come viene definita l’attività usurante: un lavoro particolarmente pericoloso, OPPURE lavorare all’interno di gallerie, OPPURE in ambienti angusti, OPPURE lavorare a contatto con sostanze nocive, come ad es. Amianto o PCB, OPPURE essere sottoposti a forti Campi Elettromagnetici, o a continui rumori e vibrazioni, OPPURE lavorare spesso in orari notturni OPPURE con turnazioni anomale e irregolari, OPPURE lavorare in condizioni di forte stress.

Sembrerà assurdo, ma i fatti che seguono riguardano una categoria di lavoratori che per anni ha subito in silenzio TUTTI INSIEME questi disagi e inconvenienti, e lo ha fatto non solo per forte senso del dovere, ma anche perché sapeva di poter contare su un sicuro pensionamento anticipato a 58 anni.

Ma vediamo per gradi cosa accade.

Con la L.488 del 23/12/1999 il Fondo pensioni “speciale” viene soppresso, i nuovi assunti dopo il 31/03/2000 saranno iscritti all’INPS e il primo paradosso sta nel fatto che questi macchinisti con lo stesso inquadramento, la stessa professionalità, che fanno lo stesso lavoro degli altri, non avrebbero goduto della stessa rivalutazione di un anno ogni dieci e avrebbero perso il diritto alla pensione massima con 37 anni di contributi.

Arrivano i primi elettrotreni veloci (300 Km/h), si inaugurano nuove tratte ad alta velocità e inevitabilmente aumenta il livello di professionalità, si allungano le tratte percorse giornalmente (da Roma si arriva a Bolzano, a Genova o a Bari senza neanche la possibilità di andare in bagno), aumenta il livello di attenzione, aumenta lo stress, aumentano i rischi, aumentano i campi elettromagnetici, e paradossalmente cosa accade? In un assordante silenzio sindacale, in una folle rincorsa alla produttività esasperata, l’orario lavorativo passa da 8 ore, prima a 8.45, poi a 9 e infine a 10 ore giornaliere, i riposi tra due servizi passano da 20 ore a 16, poi a 11 ore, ma soprattutto si passa DA DUE AD UN SOLO MACCHINISTA alla guida dei treni. Passa qualche anno e nel 2010 alla collezione di paradossi si aggiunge il cosidetto provvedimento “Taglia Leggi”, che lasciando inalterate le altre categorie, cancella la legge 425 dei ferrovieri senza prevedere alcuna alternativa e (altro paradosso?) nella totale indifferenza dei sindacati e dell’INPS.

Arriviamo a dicembre 2011 e con la “Salva-Italia” le pensioni slittano a 66/67 anni, ad eccezione di alcune categorie da salvaguardare, che vengono tutelate al comma 18 dell’art.24.

Ma paradossalmente i ferrovieri, e i macchinisti in particolare, che erano già stati duramente colpiti dal “Taglia Leggi”, sono stati aggiunti a parte nell’ultimo capoverso di quel comma 18, forse proprio in virtù del fatto che essi dovevano godere di una legge specifica, che in realtà non c’era più, ma nessuno ci aveva fatto caso. Ma non basta!!! Per un errore di forma in quel fatidico ultimo capoverso del comma 18 viene scritta la parola “articolo” invece di “comma” e così, paradossalmente, i macchinisti non rientreranno più neanche nelle categorie da “armonizzare”. E cosa è successo? Assolutamente nulla. Nessuno se ne accorgerà, men che meno i sindacati, fino al 14 marzo del 2012, quando l’INPS emana un messaggio nel quale specifica chiaramente che per tutti i ferrovieri il nuovo limite di età per la pensione è di 66 anni, che gradualmente diventeranno 67. Ma la stessa circolare ci regala un altro paradosso, poiché nella stessa si afferma che le regole della “Salva-Italia” non valgono per il “personale viaggiante” dei pubblici servizi (autisti e tranvieri per capirci) per cui questi (giustamente, diciamo noi) continueranno ad andare in pensione a 60 anni.

A questo punto, almeno tra i macchinisti, scoppia il panico e un piccolo gruppo di questi ultimi prende coraggio e cerca contatti con qualche componente della Commissione Lavoro. Non appena gli Onorevoli Damiano (PD), Paladini (IdV) e Muro (FLI) capiscono cosa era successo, saltano dalla sedia e cominciano a fare interrogazioni, emendamenti e proposte di rettifica, ma il governo non riesce a capire ne la gravità di ciò che aveva avallato (pensiamo solo ai rischi di far guidare un treno ad un solo macchinista di 66 anni) ne al fatto che i costi per riparare questo gravissimo errore erano irrisori (circa 4 milioni di Euro all’anno), così si arriva fino alla crisi del governo Monti senza aver cambiato una virgola.

Intanto i macchinisti continuano nella loro collezione di paradossi, poiché a settembre 2012 è stato approvato il nuovo Contratto di Lavoro che, invece di compensare tutti quei peggioramenti sopra accennati, gli ha regalato due ore di lavoro in più a settimana, cioè dodici giorni di riposo in meno ogni anno, un sistema di programmazione turni che sfrutta gli orari di lavoro al millesimo, l’ennesimo allungamento delle tratte percorribili, ecc.

Ma il vero Jolly dei paradossi, quello che vale doppio, è sbucato fuori qualche mese fa quando, andando a ricercare documenti da proporre ai politici, ci siamo imbattuti in una ricerca medica degli anni ’70-’80 fatta presso l’Università di Firenze su 400 macchinisti, dalla quale si evince che l’aspettativa di vita per questa categoria era di circa 64 anni. Ora, pur ammettendo che, nonostante gli appesantimenti degli orari e di tutte le altre variabili, tale aspettativa di vita sia rimasta uguale o addirittura aumentata di qualche anno, significherebbe comunque che statisticamente un grandissimo numero morirà non appena raggiunta la pensione, ma un altrettanto grande numero morirà durante l’età lavorativa, alla faccia dell’equità tra lavoratori (principio garantito dalla Costituzione) e della sicurezza nelle Ferrovie.

Infine, per chiudere in bellezza (si fa per dire!), l’ultimo paradosso da collezione, che però forse potrebbe sembrare più una presa per i fondelli: a gennaio l’INPS emana il messaggio N°545 con il quale specifica che per le varie categorie di lavoratori atipici che dovevano essere armonizzate ai nuovi requisiti pensionistici entro giugno 2012, poiché tale armonizzazione non era avvenuta, restavano valide le vecchie normative precedenti.

Quindi, grazie al “Taglia Leggi” e all’errore nel comma 18, gli unici lavoratori ATIPICI rimasti imbrigliati nella “Salva-Italia” sono i ferrovieri e i macchinisti in particolare.

Post scrittum:

non sappiamo se è un paradosso, ma in Francia i macchinisti possono andare in pensione a 54 anni, in Belgio e in Inghilterra a 55 con lievi penalizzazioni.