E’ scomparso, dopo una di quelle malattie che non perdonano, Vittorio Del Duce.

Ingegnere, una vita passata (oltre trentacinque anni) alla Rai fino a diventarne uno dei massimo dirigenti nel settore tecnico, si è sempre distinto per una forte versalità intellettuale e un vero impegno politico.

Era tra i più assidui e creativi nelle discussioni sul sistema comunicativo che con periodicità frequente si tenevano a Botteghe Oscure, con un impegno costante in quella che riteneva la sua casa politica. Che poi seguì anche sotto gli altri nomi. E c’era ancora il fattore K, pure alla Rai, quando per diventare dirigente da comunista dovevi essere un genio o quasi.

Ma eravamo pure nel trentennio felice delle tecnologie italiane, quando al centro di ricerche della Rai a Torino si sperimentavano il satellite di diffusione diretta e la televisione digitale. Giapponesi e americani spesso seduti in platea ad imparare. E a Roma vi era il punto di riferimento per la gestione delle frequenze, universo in cui Del Duce era maestro riconosciuto.

Fu tra coloro, insieme ad Enrico Giardino e ad un gruppo di colleghi del ministero guidati da figure storiche come Giorgio Guidarelli e Antonio Micciarelli e tanti altri giovani, che provarono a regolamentare il Far West dell’etere, disegnando una pianificazione che non trovò mai applicazione.

Era troppo ingombrante per le mire dei grumi di potere, a cominciare da Fininvest.

Per motivi politici noti, purtroppo, il piano rimase nei cassetti. L’Europa si accorse del brillante ingegnere italiano che parlava le lingue e lo coinvolse in iniziative e gruppi di lavoro impegnativi.

Tuttora, in verità, si vive di rendita e nulla di quanto accade oggi sarebbe stato possibile senza quei “prequel”. La conclamata rivoluzione numerica scaturì da una scuola che il villaggio globale ci invidiava. L’età analogica avanzata aveva nella Olivetti, nella STET-SIP e nella Rai l’avamposto.

Fuori luogo, in un saluto commosso a un carissimo compagno, fare fin troppo facili paragoni con l’odierna triste realtà, dominata dai vari Google e Facebook e con la ricerca messa sotto i piedi.

Vittorio Del Duce è stato un “esperto rosso”, per ricorrere ad un gergo nobile, di invidiabile intelligenza, capace di urlare a una politica cieca e sorda che le tecniche sono decisive per capire il mondo e le sue trasformazioni. Ma con la capacità di demistificare le ambivalenze pericolose delle macchine, quando non c’è una scienza a guidarle. E quando la sinistra si smarrisce.