Natale, al di là delle ragioni culturali che ciascuno di noi oppone per affrontarlo, è -anche- sinonimo di lettere al barbuto Babbo che, oberato dal peso della slitta, ha l’onere di portare a ciascun richiedente un momento di felicità, di serenità, un regalo. Noi vogliamo raccontarvi, ancora una volta, una storia arricchita di nuovi particolari, una dark story , una di quelle storie che non prevedono il lieto fine ma che potrebbe avere un finale diverso se solo Babbo Natale accogliesse le nostre richieste, richieste che faremo in chiusura di questa brutta storia, di questo pasticciaccio, di questa tragedia shakespeariana che non è sogno ma una realtà che ha inquinato i pozzi della nostra convivenza, che ha contribuito a fiaccare la nostra fiducia in quelle istituzioni che, reiteratamente, ci invitano al sacrificio per uscire fuori dall’impasse.

La notte del 1° novembre del ’75 a Roma la temperatura è mite. La massima ha toccato i 19°, una temperatura inusitata per il periodo, a ridosso della mezzanotte il termometro è fermo ancora intorno ai 13°, con assenza di precipitazioni e una umidità, questa sì, abbastanza elevata. A Ostia, ferma restando l’umidità di cui sopra, e in presenza di brezza, la temperatura è stata ed è di un grado superiore. Una sorta, insomma, di primavera ritardata.

Un signore tarchiato, con occhiali dalle lenti scure, accompagnato da un pischello riccioluto, entra nella trattoria “Biondo Tevere” (la stessa dove Visconti girò “Bellissima”,ricordate?), un locale con una incannucciata sul fiume che,nella stagione estiva, offre momenti di piacevole relax(zanzare permettendo). Il signore, lo avrete capito, è Pier Paolo Pasolini, scrittore già in odore di Nobel, e il ragazzetto è tale Pino Pelosi detto la “Rana” per via,dicono, degli occhi sporgenti che, in verità, non sono proprio tali; il nickname è una sorta di figura retorica connaturata allo spirito e al lessico del romano. Si è detto che Pasolini incontrasse casualmente il Pelosi in piazza dei Cinquecento, nella sua ricognizione notturna di dragueur. Non è così. Pier Paolo e la Rana si conoscevano da mesi, avendo intessuto molto tempo addietro una liaison che aveva portato addirittura Pier Paolo a frequentare la casa dei genitori, portando loro estemporaneamente dei capi di vestiario data la condizione di indigenza in cui i due versavano; che dichiaravano continuamente di essere contenti che il figlio frequentasse quella persona così distinta e acculturata. Sapevano sicuramente la natura di quella frequentazione, a dispetto delle parole di disprezzo che usarono quando il loro pargolo varcò la porta delle patrie galere a causa “de quer frocio maledetto”. Pasolini e Pelosi,quella notte,avevano un appuntamento preciso. Ma ci torneremo fra breve. Al “Biondo Tevere” è quasi ora di chiusura (sono da poco passate le 23) ma Pasolini è un habitué e Vincenzo Panzironi, il trattore, fa un eccezione. Pier Paolo non toccherà cibo limitandosi a bere della birra, Pelosi ordinerà degli spaghetti aglio,olio e peperoncino e, a seguire, una porzione abbondante di pollo alla diavola. A pasto finito i due, a bordo dell’Alfa di Pasolini (è passata da poco la mezzanotte), si muovono alla volta dell’Idroscalo. Ad andatura singultante giacché la Rana, adducendo una risibile paura per l’alta velocità (in verità è un pilota provetto, guida abitualmente un’auto pur sprovvisto di patente data la minore età), invita il maturo amico a non andar forte. La verità è che l’auto viene seguita da una motoretta, una Gilera 125 rubata poco prima, con in sella i fratelli Borsellino, “Braciola” e “Bracioletta”, cooptati per il sabba di sangue, e un motore di 125 cc. non può reggere l’andatura di un’automobile che eroga una potenza di poco inferiore ai 120 cavalli. Pelosi è dunque lo zimbello, un uccello da richiamo. Stante la sua consuetudine con il poeta, non sarà difficile farsi seguire anche perché la ragione di un appuntamento in un posto così lontano e desolato è una ragione,come dire?,nobile. Sono state rubate, infatti, dai magazzini della Casa di Produzione Cinematografica PEA, le pizze di “Salò” e glie ne viene offerta la restituzione dietro compenso (chissà se un dubbio ha assalito lo scrittore: bisognava andare fin laggiù per rientrare in possesso di quel materiale?). In verità i ladri hanno pescato nel mucchio perché spariscono pure un film di Fellini e del regista Silvio Giordani. Autori materiale del furto sono i fratelli Borsellino a scopo di estorsione. In verità trattasi di ‘fegatelli’, spezzoni di film e fotogrammi ininfluenti al montaggio del film tanto è vero che, a fronte di una richiesta di un miliardo di lire, il produttore Grimaldi ha offerto 50 milioni, e solo dietro richiesta pressante del regista. I malviventi fanno capire a Pasolini che in un modo o nell’altro si metteranno d’accordo.

Dietro la moto dei Borsellino si è accodata intanto una FIAT 1500 verde targata Catania. A bordo ci sono tre dei servizi segreti deviati contigui alla destra eversiva.

Arrivati nello spiazzo -c’è buio pesto, le ‘operazioni’ verranno illuminate,semmai,dai fari delle automobili- c’è in realtà un affollamento di vetture, in numero non inferiore a quattro: l’Alfa di Pasolini, un’altra Alfa di identico modello, la 1500 menzionata e, appartata, un’altra vettura di cui diremo. Ipotizziamo che gli attori in commedia siano in numero non inferiore a 11: lo scrittore, i fratelli Borsellino, Pelosi, i tre della 1500, Giuseppe Mastini detto “Johnny lo Zingaro” , Antonio Pinna; nell’auto defilata almeno due persone che non prenderanno parte fisicamente al massacro. In verità “Johnny lo Zingaro”, detto anche il “Biondino”, viene chiamato in causa da due elementi di diversa natura: un plantare trovato nella macchina di Pier Paolo sul quale basterebbe eseguire l’esame del DNA per fugare dubbi o confermarli e il terror panico che si impossessa di Pelosi ogniqualvolta gli si chiedeva se il compare fosse o non fosse della partita. Bisogna spiegare il perché di un plantare: Giuseppe Mastini è claudicante a ragione di un conflitto a fuoco con la Polizia avvenuto quando aveva appena 11 anni. A dire il vero c’è un elemento ulteriore più concreto che confermerebbe la sua presenza, un elemento agli atti e di cui nessuno ha mai tenuto conto. Vincenzo Panzironi dichiarerà che “il giovane che accompagnava Pasolini corrisponde ai seguenti connotati: età al di sotto dei vent’anni, alto mt 1,70 e forse più, di corporatura normale, capelli biondi mossi lunghi fino al collo e pettinati all’indietro”. E’ un identikit che combacia perfettamente con la foto segnaletica di Giuseppe Mastini ( ma, a questo punto, il giallo si infittisce: chi ha cenato con Pasolini quella notte? e, stabilendo che fosse il Pelosi, in che veste il Biondino entra nell’esercizio commerciale? forse in avanscoperta per sincerarsi che non ci fossero più avventori che potessero testimoniare dell’ultima cena dello scrittore?). La Polizia, in un secondo sopralluogo, mostrerà al Panzironi la foto segnaletica di Pelosi . Nonostante il Panzironi opponesse ripetutamente un diniego asserendo che non era lui,il Pelosi,il pischello, gli agenti redigeranno un verbale in cui si dirà che l’oste ha riconosciuto il Pelosi al di là di ogni ragionevole dubbio dalla foto mostratagli.

Quando parliamo del timor panico, per usare un eufemismo, di cui soffrirebbe il Pelosi nei confronti del Mastini dobbiamo rifarci agli anni in cui i comparucci erano stati ospiti, tutti, del carcere minorile di Casal del Marmo. Emergono, riferendoci a Johnny, i tratti di un cane alfa, di un individuo dotato di una personalità marcata, tutt’altro che gregario e che trattava al contrario come gregari i suoi accoliti, i Borsellino nella fattispecie e Pino Pelosi. E’ un personaggio di notevole temperamento. Inoltre, zoppia a parte, ha il cosiddetto phisique du rôle: è belloccio e gli anni, anziché appesantirne i tratti, gli rendono giustizia regalandogli i contorni del bel tenebroso: la faccia da bruttone di Franco Citti scolorisce al paragone.

Dei personaggi citati solo Pelosi sa per filo e per segno come andarono le cose quella notte e chi furono i congiurati. Di uno dei tre ha detto che aveva la barba e poteva avere,a occhio e croce, una quarantina d’anni. Pier Paolo fu subito tirato fuori,a forza,dalla macchina, forse dal Mastini. Ma furono sostanzialmente i tre innominati, professionisti,gente esperta, a massacrarlo. Usarono spranghe di ferro, le mani nude; il calcio ai testicoli lo immobilizzò. L’esame autoptico non riportò i segni di uno shock anafilattico ma tanto bastò per immobilizzarlo in uno stato di incoscienza e farlo fuori. Perché risulta evidente che, a dispetto delle assicurazioni che diedero a Pelosi, ai Borsellino,ad Antonio Pinna che erano d’accordo solo per dargli una lezione, Pasolini fu convogliato all’Idroscalo per essere giustiziato. Faustino Durante, l’anatomopatologo, non seppe dire se Pasolini sarebbe sopravvissuto se l’auto non l’avesse sormontato facendogli scoppiare il cuore, causa prima del decesso.

Dicevamo, Pelosi era d’accordo solo per una lisciatina appunto, come pure i Borsellino che pattuirono, al telefono, un compenso ma solo “pe’ ‘n po’ de botte”. Lo stesso Pinna, che Pasolini frequentò a lungo come aedo di gesta criminali, testimone per la stesura dell’opera letteraria, si spaventò, provò subito probabilmente un rimorso feroce, novello giuda, per aver venduto colui che gli aveva mostrato, nel corso del tempo, amicizia ed offerto, forse, una ragione di riscatto. Il Pelosi fu addirittura malmenato quando cercò di opporsi alla mattanza, e comunque gli si fece capire chi era a menare le danze e, elemento di non poco conto, fu spostato a forza dal campo visivo perché i congiurati avessero la certezza che non potesse, in seguito, accusare nessuno in particolare. Pelosi non conosceva i loro nomi e,anche se avrebbe potuto riconoscerli (cosa ardua giacché l’imboscata durò poco,pochissimo e non è detto che tutte le luci dei fari fossero accese), mai avrebbe potuto testimoniare su chi fisicamente aveva compiuto il delitto: uno? tre? sette? E, ultimo ma non per questo meno importante, solo Pasolini gridava disperato sotto i colpi, nessuno dei massacratori e dei convenuti sconosciuti al Pelosi emise un fonema quale che fosse. Quella notte,all’Idroscalo, NON fu consumato alcun atto sessuale.

La macchina che abbiamo tralasciato era dei servizi segreti deviati, con a bordo almeno due agenti che controllavano le operazioni e che stavano lì per accertarsi che queste venissero espletate al meglio, più o meno come si liquida una pratica burocratica.

L’auto che passa sopra il corpo esanime di Pasolini non è la sua, ma l’altra di identico modello di proprietà del Pinna. Chi la guidasse al momento di sormontare le membra già sfatte del poeta è difficile dire.

Dunque, la prima auto ad uscire dal perimetro sterrato è la 1500, seguita dalla moto con la quale sono arrivati i Borsellino. Sull’Alfa che ucciderà il poeta prenderanno posto il proprietario, Antonio Pinna e, probabilmente, er Braciola. E’ abbastanza verosimile che fosse quest’ultimo alla guida data la ritrosia del Pinna. I fratelli Borsellino vengono definiti ‘feroci’ da Renzo Sansone, un infiltrato dei Carabinieri che li arresterà pochi mesi dopo. Il Pinna,dicevamo,già ammalorcato dal massacro, probabilmente non se l’è sentita di passare sopra il corpo già martoriato del suo,diciamo così,amico. Johnnny lo Zingaro e la Rana vanno via in coppia sull’Alfa di Pier Paolo. Poche centinaia di metri più avanti però Pelosi ha dei conati di vomito; il pasto abbondante consumato appena due ore prima unitamente allo scempio di cui è stato testimone impongono al compare di fermare l’auto dalla quale scende. Rimarrà solo in mezzo alla strada non ancora asfaltata giacché Mastini fugge di gran carriera. Pelosi verrà arrestato pochi minuti dopo in piazza Gasparri. Sulla carta non c’è un motivo valido per l’arresto ma,come si dice a Roma, “se lo so’ bevuto”, qualcuno -i due in incognito della macchina civetta?- ha dato prontamente le dritte per il suo fermo. Risulterà quindi falso che venisse fermato sul lungomare guidando contromano (abbiamo già descritto il Pelosi, in precedenti corrispondenze, come anaffettivo ma non propriamente come un imbecille), dai poliziotti Antonio Cuzzupé e Giuseppe Guglielmi; non solo costoro non sono di servizio quella notte ma lavorano al Ministero in pianta stabile, con non meglio specificati compiti. Pelosi viene fermato a piedi e Mastini abbandonerà l’auto al Tiburtino III dove verrà rinvenuta da altri militi i quali si premureranno di avvertire,nottetempo,la cugina del poeta Graziella Chiarcossi.

Antonio Pinna si premurerà invece di portare a riparare la propria auto; quella di Pasolini verrà ritenuta estranea al sormontamento da Faustino Durante. Un primo carrozziere interpellato, tale Marcello Sperati, vista la mala parata( la macchina presenta tracce di sangue raggrumato e capelli) rifiuta il lavoro; un secondo, Luciano Ciancabilla, no.

Qual’è la ragione dell’omicidio, chi sono i mandanti? A nostro avviso Pasolini firma la sua condanna a morte quando scrive “Io so…ma non ho le prove”. I mandanti pensano invece che lui sappia e che si stia organizzando per farle venire a galla. Quando scrive sul Corriere della Sera che bisogna processare la DC e, di rimando, Moro in Parlamento controbatte con veemenza che la DC non si processa, i mandanti si radicano nel convincimento che Pasolini stia mettendo insieme prove inconfutabili delle sue accuse; le note su PETROLIO relative alla scomparsa di Enrico Mattei sono la prova che Pasolini si starebbe accingendo ad editare un libro-bianco su prove,collusioni e intrallazzi della classe politica. Dicevamo che Pasolini, di ritorno da Stoccolma dove era stato per la traduzione di parte della sua opera, era già indicato come papabile per il Nobel e assassinare un premio Nobel sarebbe stato infinitamente più arduo. Per questo fu deciso di agire con tempestività.

A cose fatte Andreotti dirà:” Se l’è cercata” pur AVENDO CONTEZZA che quella notte Pasolini non si era appartato per un ‘sordido’ convegno carnale. Neanche Giovanni Leone, Presidente della Repubblica, si peritò di inviare alla famiglia un biglietto di cordoglio, atteggiamento inusuale per uno statista vista la rilevanza nel panorama culturale italiano ed europeo di un intellettuale come Pasolini.

Perché il delitto Pasolini, oltre ad essere un delitto di Stato, è,anche,un delitto culturale. L’omosessualità è alla base di una violenza mai sottaciuta. Concutelli, ora paralizzato ed accudito ad Ostia -parrebbe proprio a Fiumara!- da un camerata, era sempre presente ad un happening, ad una presentazione in cui figurasse Pasolini come autore, per inveire contro di lui, per dileggiarlo. Quando qualcuno azzardò un suo coinvolgimento nell’affaire Pasolinì quello lo querelò. Noi non abbiamo alcuna prova del suo coinvolgimento in questo assassinio ma un fascista coperto dall’anonimato ha fatto una riflessione interessante: per gli autori del martirio venire allo scoperto avrebbe voluto dare,darebbe maggiore dignità alla morte dello scrittore, ne avvalorerebbe la pista politica, il suo martirio sarebbe conseguenziale alla sua denuncia, mentre si vuole che la morte di Pasolini sia relegata nel perimetro di una storia di ‘froci’. Laddove è comprovabile che lo scrittore, all’Idroscalo, non si portò quella notte per consumare un rapporto sessuale.

Troverete azzardato che una macchina civetta dei Carabinieri coordinasse le operazioni. E,allora, al proposito vi parleremo brevemente di un’altra storia terribile, lo stupro subito da Franca Rame.

Franca Rame fu sequestrata in pieno centro di Milano da cinque uomini, gettata come un sacco dentro un furgone, seviziata e violentata a turno. Racconta Nicolò Buzzo di stanza allora alla Caserma Pastrengo, successivamente braccio destro del Generale Dalla Chiesa, che la notizia dello stupro provocò nel Generale Giovanni Battista Palumbo, Comandante della caserma, un’euforia incontenibile; costui pare che,alla notizia, brindasse a champagne. Ex-repubblichino, nulla ostava perché nella sua caserma circolassero elementi di spicco della destra eversiva. Nell’81 il nome di Palumbo figurò tra gli iscritti della Loggia P2. Anni dopo due fascisti, Angelo Izzo e Biagio Pitaresi, riveleranno al Giudice Salvini che l’ordine di violentare l’attrice era partito dall’Arma dei Carabinieri. Un tale Angelo Angeli (sic!) faceva parte del commando che sequestrò la Rame. Emerse che fosse Vito Miceli a dare l’ordine, lo stesso che si era espresso nei confronti di Pasolini con accenti quanto meno sospetti. Nonostante l’euforia del Generale Palumbo non sembra,al vaglio dei fatti, che questo fosse in grado di dare autonomamente un ordine di tale gravità. Il fattaccio avvenne il 9 marzo del 1973. Era Capo del Governo Giulio Andreotti, che tornò a ricoprire lo stesso incarico un anno dopo la morte di Pasolini.

Facendo il punto, i fratelli Borsellino morirono ancora adolescenti entrambi di AIDS, Antonio Pinna scomparve lo stesso giorno in cui Sansone arrestò er Braciola e Bracioletta: notizie attendibili lo danno ancora per vivente ma ben occultato; Giuseppe Mastini è stato collaboratore di giustizia, ha consentito l’arresto di personalità di spicco della criminalità organizzata e questo lo mette al sicuro da eventuali,ulteriori condanne godendo tutt’ora di coperture particolari. Chi di dovere conosce le sue mosse ma si guarderebbe bene dal darlo in pasto alla Giustizia,quella regolare s’intende. Siamo convinti che, se mai venisse effettuato il test del DNA sul famoso plantare e il test dovesse dare esito positivo, Mastini verrebbe messo nelle condizioni di farsi uccel di bosco. Pelosi si arrabatta tra lavoretti legali e non. Sia lui che il Biondino non parleranno mai anche perché, pur testimoni oculari, non sono mai stati funzionali al progetto criminale costituendo solo manovalanza. In cambio hanno ottenuto uno,il Mastini, dopo anni di carcere, la facoltà di muoversi liberamente sul territorio, con ampia copertura; l’altro,il Pelosi, dopo 9 anni di carcere, non più giudicabile per lo stesso reato, è forse -dopo lo scrittore che pagò con la vita- una sorta di vittima sacrificale del sistema. Pare, ma non è accertato, che i suoi ricevessero in cambio del silenzio del figlio un appartamento.

Siamo convinti che entrambi porteranno il loro segreto nella tomba. E siamo alla chiusa. In molte parti del mondo i bambini, in questo periodo, scrivono lettere a Santa Klaus, vergano con grafia infantile desideri da infanti: un giocattolo, l’armonia tra i genitori. Non tutti i nostri desideri vengono esauditi. Rimangono, nella nostra storiaccia, tre, cinque individui il cui volto rimarrà per sempre nell’ombra. Le mafie, la criminalità, i fascisti amano troppo spesso accostare le proprie gesta,le proprie identità al concetto di ‘onore’. Di quale onore parlino quei saprofiti che vessano un commerciante, coloro che stuprano una donna, o uccidono un uomo che, in un corpo a corpo, avrebbe avuto ragione di ciascuno dei congiurati non è dato sapere. Oggi, se fossero ancora vivi, avrebbero 75/80 anni. Chissà se avranno dei figli, dei nipoti e se stiano in questo momento acquistando regali per loro, o addobbi per l’albero. Chissà se dopo tanti anni anche il loro passato peserà sulla loro coscienza o sarà stato semplicemente rimosso come si fa con un incubo ricorrente, o come un nazista che difenda il proprio operato adducendo l’obbedienza agli ordini. Avrebbero costoro un modo, non tanto per emendarsi, quanto per riacquistare l’onore perduto: uscire allo scoperto, confessare,fare nomi e cognomi dei mandanti. L’omicidio è un reato che non va in prescrizione ma è altrettanto difficile che un ottantenne vada in galera anche se si fosse macchiato di un reato così orribile, specie se avrà fornito agli inquirenti una mappa precisa del misfatto. Sappiamo di essere degli illusi ma noi, lo stesso, affidiamo questa strana lettera di Natale a Santa Klaus confidando che un delitto compiuto 40 anni fa abbia ragione oggi dell’insensatezza e della matta bestialità che lo confezionarono. Buon Natale a chi ci legge, un Natale laico che, al di là delle esteriorità (l’albero, il torrone,la tombola) ci regali quei nomi, quelle sordide motivazioni, mantenendo magari l’anonimato, proprio come il messaggio che affidiamo ai marosi in una bottiglia che qualcuno leggerà, se lo leggerà, quando la vita sarà al suo volgere e la speranza sarà divenuta un’abitudine.

Addentratici in questa selva oscura che è l’affare Pasolini, a volte persa ogni speranza di uscirne fuori, ci è venuto in soccorso un singolare Virgilio, tale ‘Pecetto’, al secolo Silvio Parrello, all’epoca pischello che Pasolini immortalò nel suo “Ragazzi di vita”.