Signor rettore,

sono Michel Warschawski, giornalista ebreo-israeliano di Gerusalemme. Il 23 marzo ero invitato come relatore a un dibattito all’interno dell’università la Sapienza; uno degli eventi organizzati intorno al sessantesimo anniversario dalla firma dei Trattati di Roma.

La Sua decisione di vietarci l’accesso all’università mi ha stupito? Sì e no. No, perché purtroppo siamo abituati alle pressioni dell’ambasciata di Israele e delle sue agenzie locali affinché le voci che criticano la politica dello Stato di Israele siano sistematicamente censurate.

E tuttavia, confesso il mio stupore per una censura messa in atto da un’istituzione tanto prestigiosa. Un’università dovrebbe essere un luogo di riflessione libero, e dunque di parola liberata. Imbavagliare la libera espressione non è degno di un’università come La Sapienza.

Non sarebbe nemmeno necessario precisare che nelle nostre intenzioni, quella del mio amico palestinese e i miei, non c’era odio né razzismo verso chicchessia.

Stéphane Hessel – un grande uomo, esponente della Resistenza e co-redattore della Dichiarazione universale dei diritti umani delle Nazioni unite – in occasione di un incontro davanti alluniversità della Sorbona, anch’essa chiusa a una conferenza destinata alla pace in Israele e Palestina, osservò: «Quando un istituto universitario si piega davanti a pressioni politiche e impedisce la libera espressione, è il segno che la società è gravemente ammalata».

Chiudendoci le vostre porte, ci confermate che l’Europa, e in particolare l’Italia, vive oggi una crisi che potrebbe essere fatale per la sua democrazia.

–> Leggi la replica dell’Università Sapienza di Roma qui