Una serie di lettere della Commissione europea sono in partenza dirette all’Italia, alla Spagna e agli altri paesi che non riescono a fare quadrare i conti secondo le regole dell’austerità. Deficit, debito pubblico e tutte le altre voci dei bilanci nel mirino di Bruxelles. A metà della prossima settimana, probabilmente martedì per l’Italia, dovrebbero arrivare a destinazione anche in Spagna, Finlandia, Romania, Austria e Belgio. Queste comunicazioni ai governi esulano dal processo del semestre europeo, ma rientrano nella facoltà della Commissione di richiamare i paesi membri quando necessario.

Nel caso del nostro paese, si tratterebbe di una serie di osservazioni sul debito pubblico troppo alto e sul rischio di uno sforamento del deficit stabilito. Nel 2016 e il 2017 è previsto che il debito cali, ma non abbastanza. Bruxelles vorrebbe un taglio più netto di quello prospettato dalla legge di stabilità.

Per Bruxelles l’Italia chiuderà l’anno con un deficit al 2,5%: un dato troppo alto. A maggio, quando la Commissione si esprimerà sulla legge di stabilità del 2016 (approvata a dicembre 2015) è probabile che sarà concessa una flessibilità dello 0,75%. Renzi e Padoan chiedono l’0,8. Troppo poco per scendere al 2,3% nel rapporto deficit/Pil richiesto dalla Commissione. Nella lettera che dovrebbe arrivare a Roma martedì prossimo Bruxelles potrebbe chiedere modifiche sul deficit. Il governo ha escluso una manovra-bis e punta a ottenere le risorse da quelle già accantonate. La differenza consisterebbe in un miliardo di euro. In ogni caso il problema del debito resterebbe. Ancora senza una soluzione.

«Con Bruxelles è in corso una discussione normale per verificare i dati del 2016 di finanza pubblica e quindi con il Def, il documento di economia e finanza di aprile, troveremo una soluzione definitiva sia del quadro di finanza pubblica sia delle previsioni di crescita». Il ministro dell’Economia ha ripetuto di confidare in una crescita che vede nei dati sui consumi, investimenti e l’occupazione. Quest’ultima è il risultato della conversione dei vecchi contratti e dell’aumento dei posti soprattutto tra gli over 55. Il tasso di occupazione cresce dello 0,1% e resta tra i più bassi dell’Eurozona (56%). Questo significa che non esiste produzione di nuova occupazione.

Un quadro realistico della situazione emerge dal bilancio sul «Quantitative easing» stilato ieri dalla Cgia di Mestre. In Italia non ha funzionato. In un anno sono stati acquistati dalla Bce 87 miliardi di titoli pubblici italiani, ma l’inflazione è rimasta a zero, mentre i prestiti sono diminuiti di 15 miliardi di euro. Le aziende più colpite sono state quelle del Lazio e del Veneto. «L’acquisto dei titoli del debito pubbloico . ha detto il coordinatore della Cgia Paolo Zabeo – ha contribuito a una certa stabilità finanziaria, ma è evidente come questa grossa iniezione di liquidità non stia raggiungendo i risultati sperati. La crescita economica non trova lo slancio che servirebbe». Nell’indagine emerge come le imprese italiane siano ancora prigioniere del blocco del credito da parte delle banche («credit crunch», anche se – precisa la Cgia – ci sono cambi di tendenza dalla Campania al Friuli. Quella dell’inflazione troppo bassa è una delle «circostanze eccezionali» contro la discesa del debito che il governo intende usare per chiedere uno «sconto» alla Commissione.