È un colloquio di quelli normali tra il capo del governo e il leader di uno dei principali partiti della maggioranza: Draghi e Letta, il Pnrr, le proposte del Pd su lavoro e giovani, il suggerimento di un decreto ad hoc. Ma il Nazareno ci tiene a specificare che non si è parlato solo di questo e che il segretario si è lamentato del modus operandi del leader della Lega, del suo stare in maggioranza ma anche all’opposizione, dalla petizione contro il coprifuoco alla decisione di non votare, in cdm, il decreto sulle riaperture. «Siamo insoddisfatti, chiediamo coerenza nel sostegno comune al governo», sbotta Letta. La replica di Draghi non è nota ma non si fatica a immaginarla. L’alzata di testa di Salvini non è piaciuta neppure a lui e che si spenda per ricondurre a più miti consigli il leghista è nell’ordine delle cose. Ma più che tanto Draghi non può fare perché non ha né l’intenzione né la convenienza nel cercare la rottura con la Lega, rendendosi così la vita molto più difficile con le Regioni e ritrovandosi con un’opposizione propriamente detta che rappresenterebbe mezzo Paese. Il leghista lo sa e ironizza: «Mi dispiace per Letta perché così deve vivere male. Ma non mi fa perdere la pazienza».

L’insistenza di Letta nel sottolineare la scorrettezza di Salvini, pur non ingiustificata, mira chiaramente a un obiettivo politico e non è difficile capire quale. Nella ex maggioranza di Conte la chimera Ursula non è svanita con l’ingresso della Lega nella «maggioranza non politica» di Draghi ed è stata rinfocolata dalla doppia parte in commedia che il leghista gioca un po’ per amore e un po’ per forza, incalzato com’è da Giorgia Meloni. Al Nazareno, sondaggi alla mano, prevedono il sorpasso in settembre e pregano perché a quel punto Salvini sia costretto a forzare la mano fino alla rottura.
Non si tratta di un progetto ben definito, anche perché sarebbe impossibile impostarlo nei particolari, ma di un umore generale che coinvolge l’intera maggioranza di Conte, anche se con ipotesi e previsioni diverse. Di Maio, uno dei più convinti della necessità di fare a meno della Lega anche perché ritiene che in caso contrario sarà la Lega a mollare la maggioranza quando lo riterrà utile e opportuno, ha in mente tempi più brevi: prima di un’elezione del prossimo capo dello Stato nella quale, ove Draghi non fosse in grado di mollare il governo e Mattarella non si prestasse al rinnovo del mandato, un Salvini all’interno della maggioranza giocherebbe un ruolo decisivo. Nel Pd è diffusa e forse prevalente una previsione diversa: il momento buono dovrebbe arrivare dopo l’elezione del nuovo presidente, in tempo comunque per qualificare la maggioranza di Draghi come essenzialmente di centrosinistra facendosi così tirare la volata elettorale e per imporre una rottura difficilmente recuperabile tra Lega e Fi costringendo così la destra estrema italiana nella stessa condizione nella quale langue quella francese: forte nelle urne ma ininfluente.

Ma le previsioni valgono quel che valgono e non è molto. In ogni caso la parola d’ordine è forzare lo scontro subito, approfittando delle occasioni che Salvini non manca di offrire ogni giorno. La stessa indisponibilità a mediare sul ddl Zan, con la tentazione di uno scontro frontale in aula nel quale data l’impossibilità di ricorrere alla fiducia le chance di vittoria sarebbero esigue, risponde almeno in parte a questa esigenza. Il sogno di Ursula incontra però due ostacoli: l’inesistente propensione di Draghi a fare a meno della Lega e la piena consapevolezza della manovra da parte di Salvini. Il leader della Lega è pertanto deciso a proseguire sulla stessa rotta: molto rumore ma evitando sempre la rottura. Oggi è ancora un gioco facile. Quando sul tavolo ci sarà la riforma fiscale e con il fiato di sorella Giorgia sul collo, tra qualche mese, potrebbe esserlo molto di meno.