Nei giorni in cui il nostro presidente del consiglio Enrico Letta va in giro per l’Europa a rassicurare Stati e mercati sulla tenuta dei nostri conti e sul rispetto dei paletti imposti a Bruxelles, va ricordato ai nostri governanti che l’Europa non ha una, bensì due capitali. Se a Bruxelles si discute di debito pubblico, rigore e patto di stabilità, a Strasburgo si dibatte e si viene condannati per violazione dei diritti umani. Eventualità che ultimamente capita spesso all’Italia. Il prossimo 27 maggio la Grande Chambre della Corte europea dei Diritti umani deciderà sul ricorso italiano contro la sentenza pilota della Corte dello scorso 8 gennaio.

Riepiloghiamo cosa prevedeva quella sentenza. L’Italia viene condannata a pagare circa 100 mila euro a sette detenuti costretti a vivere in carceri dove mancava lo spazio ritenuto vitale, ovvero tre metri quadri a persona. Visti i 500 e passa ricorsi, di cui un circa terzo presentati dal nostro Difensore civico, la Corte ha proposto all’Italia, per evitare 500 condanne e milioni di euro di risarcimenti, di intervenire entro un anno per porre rimedio sistemico a quella condizione di affollamento che provoca la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea del 1950 il quale proibisce la tortura e i trattamenti crudeli, inumani e degradanti.

Il governo italiano ha accettato il compromesso. Solo che in virtù di una deteriore furbizia italiana ha presentato ricorso alla Grande Chambre. Un ricorso evidentemente dilatorio, un po’ da azzeccagarbugli di provincia, che è servito solo a spostare in avanti l’anno entro cui dover riportare le carceri nella legalità costituzionale e internazionale. Va ricordato che a oggi abbiamo 66 mila detenuti, mentre i posti letto regolamentari accertati sono solo 37 mila (e non 45 mila come dicono le statistiche ufficiali). Un tasso di affollamento che ci posiziona al primo posto in tutta Europa.

Quello che sta scorrendo è un anno decisivo per le riforme della giustizia penale e della vita nelle 206 carceri italiane. C’è da rispondere a Strasburgo, ovvero c’è da decidere come liberare circa 30 mila detenuti. Inoltre c’è da decidere che fare della legge sulla detenzione domiciliare e dell’intero sistema delle misure alternative, visto che la legge Alfano-Severino va a scadenza a fine anno.

A ciò si aggiunga che, proprio in questi giorni, il parlamento ha approvato la legge che sposta al primo aprile 2014 la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, dove sono rinchiuse oltre 1000 persone di cui una parte indebitamente, visto che pur non più pericolose restano ugualmente internate. Infine, sempre entro aprile 2014 l’Italia , dopo che il capo dello Stato ha depositato la ratifica del protocollo alla Convenzione Onu contro la tortura, dovrà istituire quello che alle Nazioni unite chiamano National preventive mechanism, ovvero dovrà finalmente dar vita a un organismo indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione, non solo carceri, ma anche Cie, caserme e commissariati.

Insieme a molte organizzazioni abbiamo dato vita a una campagna pubblica per stare dentro questo dibattito, per condizionare le forze politiche che siedono in parlamento. Le nostre sono tre proposte di legge per la giustizia (3leggi.it) che riguardano i grandi temi della introduzione del delitto di tortura nel codice penale, del cambio radicale della legge sulle droghe Fini-Giovanardi e della legalità contabile e sostanziale nelle carceri. Dobbiamo raccogliere 50 mila firme. Siamo a quota 20 mila. Vogliamo dimostrare che si tratta di temi istituzionali e sociali che hanno base di consenso e meritano rispetto politico. Di questo parleremo in una assemblea, alla quale parteciperanno anche molti parlamentari, che si terrà oggi alla Camera, a Roma, in via del Seminario 76.